Lo stratagemma di inventare l’epidemia di un virus mortale tenne alla larga nazisti e loro complici dall’ospedale romano Fatebenefratelli nel 1943 e nel 1944. Lì trovarono rifugio ebrei e oppositori del regime fascista. Una storia vera, arricchita da ricerche e testimonianze, a cui ha attinto Jesùs Sànchez Adalid, scrittore e sacerdote spagnolo, per il suo romanzo “Una luce nella notte di Roma”
Più che scrivere del reverendo Richard Coles, religioso britannico di cui sono stati pubblicati due gialli non memorabili per Einaudi, è di un altro sacerdote scrittore salito di recente alla ribalta in Italia che vogliamo far emergere – dalle nebbie della tante, troppe pubblicazioni – il bellissimo romanzo, figlio di ricerche storiche, testimonianze e schegge di immaginazione. Il riferimento è a Una luce nella notte di Roma (608 pagine, 19,50 euro), edito da Harper Collins, e scritto dallo spagnolo Jesùs Sànchez Adalid (tradotto da Sara Caravero). Di preti letterati e protagonisti nelle librerie, non ne ricordiamo tantissimi (Don Milani, starà dicendo qualcuno, agitando un ditino che accusa e rimprovera), ce ne saranno, ma magari non ne abbiamo letti abbastanza. Sul nostro sito, nel nostro piccolo, ci godiamo le incursioni coltissime di Nuccio Puglisi (autore di Centootto volte più grande del sole, qui più di un link utile). Ma se proprio dobbiamo fare il nome di un grandissimo sacerdote scrittore non possiamo non citare Luisito Bianchi e il suo indimenticabile La messa dell’uomo disarmato, pubblicato da Sironi, quando il deus ex machina era Giulio Mozzi. Parentesi a parte, Una luce nella notte di Roma è un romanzo capace di catturare lettori forti e riconciliare con la lettura chi l’ha mollata travolto dall’insolito destino di vivere.
Due sorelle (e una madre fascista)
Il libro si ispira a fatti realmente accaduti, anche se le generalità dei protagonisti e di loro discendenti sono state… camuffate. L’autore ne è venuto a conoscenza dialogando con un frate che opera all’ospedale Fatebenefratelli di Roma. Ta il 1943 e il 1944, durante l’occupazione nazista della capitale, nazisti e medici furono ingannati da medici, dipendenti e religiosi dell’ospedale romano Fatebenefratelli: si lasciò credere che era in corsa l’epidemia di un virus mortale, il morbo di K., notizia che tenne alla larga dal nosocomio dell’isola Tiberina i tedeschi e i loro alleati in terra italiana. Lì trovarono rifugio oppositori del regime, partigiani ed ebrei che furono salvati da morte certa. Nel romanzo una protagonista di questo inganno è l’infermiera Orlena Duareli, figlia di Gianna, convinta fascista. La sorella Gina, innamorata dell’ebreo e rivoluzionario Betto (pronto a tutto, pur di sconfiggere i nemici, anche a costo di perdere gli amori della sua vita), fu invece impegnata in prima persona nella Resistenza.
Una storia sepolta dalla Storia
Jesùs Sànchez Adalid ricostruisce accuratamente l’epoca che racconta, evocandone atmosfere, creando personaggi credibili, dando voce a una storia sepolta dalla Storia («Se non avessi accolto e adempiuto a quella misteriosa richiesta, molti degli eventi che ho narrato forse sarebbero stati per sempre dimenticati»), e a una delle città per antonomasia, ritratta in quell’epoca senza stereotipi o sentimentalismi. Gli avvenimenti di quel tempo sono terribili, le ostilità infuriano ancora, mentre gli alleati stanno conquistando la penisola a partire dal sud. Nella capitale c’è chi si oppone a rastrellamenti e carneficine annunciate, aguzzando l’ingegno, con uno stratagemma che scompagina i piani dei volenterosi carnefici. Sanitari e medici, ad esempio, riuscirono a salvare una cinquantina di ebrei, condotti su ambulanze in ospedale dal vicino ghetto. Solo una delle decisioni rischiose e audaci che si presero in quell’ospedale. Una luce nell’oscurità, appunto, il coraggio in mezzo a tanto dolore.
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