C’è immedesimazione e immedesimazione, una delle più oscure forze della letteratura. Si pensi all’attesa di Giovanni Drogo ne “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, di cui è uscita da poco una trasposizione a fumetti: veste affascinante, personaggi ben tratteggiati e disegni, giustamente, sfumati. L’autore è di quelli centrali, che fanno tornare con la mente al passato e all’adolescenza…
L’immedesimazione è una delle forze più oscure della letteratura. A volte ci fa innamorare di altri noi stessi, fin troppo riconoscibili, altre volte ci porta davanti invece a dei noi stessi perfettamente sconosciuti. La letteratura ci fa, come sappiamo, scoprire la natura umana, nostra e di tutti, scoperta che è l’anima stessa di ogni esperienza di scrittura. E poi c’è la letteratura più ambiziosa, quella che cerca niente meno che la verità. Ecco, l’ho sempre immaginato così Giovanni Drogo ne Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, volto lo sguardo verso una dimensione metafisica, fideistica, della verità, oltre l’orizzonte di un deserto senza orizzonti, una vita perduta o, al contrario, dedicata all’attesa eroica di un nemico che, dopo decenni, appare troppo tardi. L’attesa della morte di cui, nonostante la disfatta, il protagonista accetta il volto inaspettato.
Ho voluto iniziare l’articolo parlando di immedesimazione in primo luogo perché il protagonista del capolavoro di Buzzati è certamente una delle figure letterarie nella quale molti di noi lettori si è appunto rivisto, in una almeno delle proprie stagioni di vita. Ma ho parlato di immedesimazione anche perché ho avuto in sorte di vivere in un luogo, la Sicilia di montagna che, per molti aspetti, assomiglia davvero all’avamposto della fortezza Bastiani: crinali che spaziano su un paesaggio vuoto, sconfinato, silente, da dove per secoli avamposti di tanti eserciti hanno fatto guardia al moto o più spesso all’immobilità della Storia.
Firme d’autore
È stato pubblicato un bel volume a fumetti della Sergio Bonelli Editore, basato appunto su Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Ne sono autori due figure importanti della produzione della Bonelli, lo sceneggiatore Michele Medda, padre tra gli altri del grande fumetto di fantascienza Nathan Never, e il disegnatore Pasquale Frisenda che ha contribuito a molte notissime serie, da Dylan Dog agli albi più recenti dell’eterno Tex Willer. È sempre affascinante il mondo dei fumetti – chiamiamoli ancora affettuosamente così – legati di certo alla serialità ma capaci ormai da decenni di incarnare una nuova forma di narrazione matura e autonoma. E la scelta di proporre questa pubblicazione non è da questo punto di vista per nulla casuale: proprio Buzzati nel 1969 da alle stampe, nello stupore di molti, Poema a fumetti, un’opera di parole e disegni, una sorta di antologia delle infinite suggestioni grafiche dell’autore. Fu definito non a caso “il primo graphic novel italiano” (e colgo qui l’occasione per consigliarlo).
Non è questo il luogo per fare un elenco dei grandi libri a fumetti, considerando che il filone ha ormai una storia abbastanza lunga alle spalle, ma alcuni nomi si devono pur fare: da Contratto con Dio di Will Eisner a Maus, il grande affresco sull’olocausto, dall’Eternauta a Zerocalcare, da Una ballata del mare salato di Hugo Pratt sino, perché no, ad alcuni personaggi seriali diventati protagonisti di narrazioni lunghe, un esempio per tutti l’iconico Ken Parker con la straordinaria storia de La carovana Donaver.
Il volume della Bonelli editore ha una veste molto affascinante, con dei personaggi davvero ben tratteggiati, è il caso di dire, e dei disegni degli spazi, sia interni che esterni, leggeri, sfumati, ed è una scelta sicuramente appropriata: tutto ciò che c’è dentro e fuori la Fortezza Bastiani, Dino Buzzati l’ha immaginato non altro che come una proiezione dell’interiorità del protagonista, quasi un sogno. La storia scorre rapida eppure ci sono tanti indizi sparsi, frasi, citazioni anche volutamente anacronistiche, rimandi: tutti tasselli che si possono ricostruire solo dopo e che ti fanno più e più volte andare felicemente avanti e indietro tra le pagine. È questo il fascino del disegno.
Il destino dei capolavori (e di uno sfuggente…)
Il deserto dei Tartari ha sempre ispirato riscritture, sia letterarie (penso ad Aspettando i barbari di Coetzee) che teatrali o cinematografiche, e questo volume si inserisce quindi in tale filone. È il destino di tutti i capolavori della letteratura essere fonte di continua ispirazione anche oltre la scrittura, eppure nel caso de Il deserto dei Tartari, la trascrizione nasce da un’esigenza in più: spiegare, dare forma, immagine, sostanza a un testo che pare sfuggirci di continuo, come se le pagine appena lette si cancellassero dopo averle sfogliate. Da qui l’esigenza di fissarle nei fotogrammi delle pellicole o nei chiaroscuri del disegno.
E, a proposito di cinema, molti abbiamo amato, ad esempio, l’adattamento nato dal silenzioso talento di Valerio Zurlini, ultimo film della sua produzione. L’opera trasmette pienamente tutto il senso di fine imminente, la dissipazione della realtà giorno dopo giorno, il tempo senza memoria: anche la scelta di riferire i protagonisti all’esercito asburgico, l’ho sempre considerata coerente con il tema della dissoluzione di passate grandezze. Ma soprattutto i volti perfetti: sfuggente e triste quello di Jacques Perrin nel ruolo del protagonista, ieratico quello di Gassman, enigmatici e insinuanti quelli di Trintignant, di Philippe Noiret o di Max Von Sidow (volti che vengono citati nel volume bonelliano).
Riandando a certi pomeriggi…
L’altro pomeriggio, mentre guardavo gli scaffali di una piccola libreria quassù nel cuore dell’isola, ho cominciato ad osservare due ragazzi. Li avevo già visti a scuola qualche volta ma non avevo immaginato fossero lettori appassionati: si consigliavano tra loro libri, quasi sempre bei libri, molti classici moderni. Ad un certo momento, hanno cominciato a parlare di Dino Buzzati e io mi sono perso nei loro discorsi, riandando ai pomeriggi trascorsi a leggere i suoi racconti, Il colombre ad esempio, e ogni cosa attorno a me lentamente si allontanava lasciandomi solo con i miei sogni e i miei incubi. Tornato in me, avrei voluto dire loro di uscire, salvarsi dal canto delle sirene della letteratura, non leggere mai più un solo rigo, nemmeno una parola. Ma forse era già tardi per loro.
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