In “Invernale” Dario Voltolini narra l’epopea della perdita dell’affetto più intimo e caro, quella del padre, narrandone il fulgore, la malattia per un banale incidente e la scomparsa. Libro essenziale ma coinvolgente, che rielabora il dolore e se ne affranca…
Invernale (144 pagine, 17 euro) di Dario Voltolini, La nave di Teseo, è un fiume che con impeto, tenacia, coerenza, in linea retta — diremmo quasi — dall’incipit — un uomo che al mercato con movimenti precisi metodici calibrati smembra le carni degli animali per venderle ai propri clienti —, arriva alla fine — la morte e la dissoluzione delle carni dell’uomo, che poi, forse, andrà oltre, sempre che esista qualcosa oltre. A narrare, da una posizione privilegiata, decisamente ravvicinata, anche se laterale, di taglio e, dunque, esterna, è il figlio, divenuto scrittore: Dario Voltolini, appunto, che ha maturato dentro di sé per più di quarant’anni e poi, in pochi mesi, ha scritto di getto questo romanzo dedicato alla memoria del padre, dagli anni del pieno fulgore alla malattia e alla sua scomparsa, causate da un banale incidente a una mano, mentre, come sempre, aveva a che fare con le carni e il sangue degli (altri) animali.
L’immagine dei genitori
Ogni figlio, ogni figlia costruisce e serba in sé, negli anni che vanno dall’infanzia alla giovinezza e poi all’età adulta, un’immagine idealizzata, se non addirittura epica e monumentale, dei propri genitori, della madre come del padre. Accade, ed è naturale, perché sono loro, i genitori, a prendersi cura e a proteggere ciascuno di noi nelle età della crescita e della formazione del Sé. Ai padri, poi, il ruolo di figure titaniche immortali e invincibili sembra precipuamente competere, per un retaggio culturale della specie che, dal paleolitico in poi, ha basato la divisione sociale del lavoro innanzitutto sui generi: agli uomini la caccia e la pesca, e inevitabilmente la guerra, alle donne la cura del focolare e dei figli, insieme alla raccolta di bacche, erbe e frutti selvatici.
Quando, con l’avanzare degli anni, sopraggiungono la vecchiaia, l’indebolimento fisico e psichico dei genitori, magari anche qualche patologia, più o meno grave, e lunghi periodi di malattia, ricoveri in ospedale e interventi, in alcuni casi anche l’accoglienza in una RSA, ogni figlia, ogni figlio deve misurarsi con l’incrinarsi dell’immagine idealizzata e imperitura dei propri genitori e prendere atto che i ruoli si sono invertiti: ora spetterà ai figli prendersi cura di mamma e papà e accompagnarli all’epilogo della loro esistenza, alternando tenerezza e tristezza, amore e sofferenza.
Per ogni individuo questo è un passaggio estremo, particolarmente delicato, dolorosissimo, dal quale con il tempo e pazienza ci si può riprendere, ma in cui ci si può anche perdere e smarrire per sempre.
Strade tortuose
La rielaborazione del lutto per la perdita di un genitore e, più in generale, dei genitori, è complessa, segue strade molto tortuose, non ha un andamento né una durata prestabiliti e ognuno la affronta con le energie e le risorse emotive, spirituali e intellettive di cui dispone e che mette in campo, impiegando anche anni prima di ritrovare il proprio equilibrio, una propria nuova dimensione. Quando ciò si verifica per l’individuo ha luogo una vera e propria nuova nascita, si compie una nuova epifania.
C’è sempre un prima e un dopo la morte del padre e della madre, che scandisce la vita di ognuno, fa da spartiacque e diviene epocale, tanto quanto la morte di Cristo che, si creda oppure no nella sua venuta sulla Terra e, soprattutto, nella sua natura divina, scandisce da millenni la storia del genere umano.
Chi scrive per mestiere e passione non può non scriverne, gran parte della sua rielaborazione del lutto passa, infatti, attraverso le parole le virgole i punti e le pagine. Non può essere altrimenti.
Così fa anche Voltolini in questo romanzo in cui, molti decenni dopo, arriva a parlare della propria perdita del padre e dell’abisso allora sfiorato. E lo fa con un libro asciutto, essenziale, ma altamente evocativo e coinvolgente, in cui le parole sono precise, cesellate, misurate, ma potenti, tanto potenti e assolutamente prive di sbavature e retorica, da togliere spesso il respiro a chi legge e, proprio per questo, lo avvincono con maggiore efficacia alla scrittura e alle pagine che la accompagnano.
Una stagione esistenziale
Invernale è un romanzo autobiografico fatto di cose, fisiche e materiali — la carne, il sangue, le ossa, lame e coltelli — e circostanze — una ferita a un dito, l’infezione che ne consegue, visite controlli viaggi e cure mediche che danno e tolgono speranza, a seconda dei momenti —, che esistono e si verificano in un contesto familiare come tanti altri, la famiglia dell’autore, una famiglia comune.
In Invernale Dario Voltolini ci narra, in forma decisamente inedita e originale, il racconto per antonomasia della storia del genere umano, l’epos archetipico per eccellenza, dalla comparsa dell’uomo sulla Terra: l’epopea della perdita dell’affetto più intimo e caro, la morte del padre. E mentre la racconta, la rielabora, se ne affranca e ce ne affranca, trasformando ciò che di questa stagione esistenziale è invernale — il freddo della sofferenza, il gelo dell’orfananza, il buio della perdita e dell’assenza — in un’occasione non solo di riflessione, crescita e maturazione, ma soprattutto in un’epifania di bellezza e perfezione.
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