Tommy Orange, il genocidio dei nativi e le origini nel cuore

“Non qui, non altrove” ha rivelato lo straordinario Tommy Orange, tornato adesso in libreria con un nuovo romanzo che è sia prequel che sequel del primo, “Stelle vaganti”. Nella prima parte si torna indietro alla seconda metà dell’Ottocento, quando i bambini delle tribù indiane erano brutalmente segregati e rieducati in collegi-fortezze. Nella seconda la scena è contemporanea e metropolitana, gli eredi dei nativi, tra contraddizioni, autodistruzioni e dipendenze da sostanze, mantengono barlumi di identità…

Con Tommy Orange la storia si ripete. Frassinelli aveva pubblicato il suo straordinario esordio Non qui, non altrove (ne abbiamo scritto qui) nel 2019. E poco prima Giovanni Francescio, il demiurgo di quella casa editrice – che aveva fortemente voluto Tommy Orange in catalogo – aveva traslocato a Mondadori. Adesso Mondadori ha pubblicato il secondo romanzo di Tommy Orange, sia prequel che sequel del debutto, e poco prima Giovanni Francesio ha accettato un nuovo incarico, la stimolante e gravosa avventura di succedere a Giuseppe Russo, re di un regno ultraventennale da direttore editoriale di Neri Pozza, che sta a sua volta lanciando il marchio Gramma in casa Feltrinelli. Per questo autore nativo americano dall’incredibile potenza narrativa, Giovanni Francesio non ha mai potuto raccogliere i… frutti. Lasciandoli a chi è venuto dopo di lui. Poco male. Resta la portata notevole, nel panorama statunitense, di uno scrittore vero, duro, mai consolatorio, dalle incredibili doti tecniche e dalle vette di profondità difficili da raggiungere per quasi ogni altro scrittore vivente. Fra i sopravvissuti di un popolo, con voce epica e rabbiosa, il californiano Tommy Orange, membro di due tribù dell’Oklahoma, ha scritto due libri, dalla scrittura pastosa, stratificata, non immediata, ma capaci di vincere la sfida con il tempo. E con cui sembra avere fatto definitivamente i conti col passato proprio e della sua gente.

L’annientamento culturale

La sua nuova prova è Stelle vaganti (336 pagine, 22 euro), tradotto come il precedente da Stefano Bortolussi. E abbraccia un secolo e mezzo di storia, a partire dal massacro di Sand Creek, in Colorado, nel 1864, attraverso le vicissitudini di una famiglia di nativi americani, la famiglia Star, a partire dal capostipite Jude. Una storia a muso duro contro quella ufficiale degli States che ha molte amnesie e tantissime responsabilità a proposito del genocidio lungo secoli degli indiani d’America. Spicca una sconcertante istituzione, la Carlisle Indian Industrial School, un aberrante progetto di correzione all’insegna di un macabro slogan, «Uccidi l’indiano, salva l’uomo»: decine di migliaia di giovanissimi, tra fine Ottocento e inizio Novecento, furono strappati alle famiglie, segregati in collegi-fortezze, e avviati a dimenticare lingua, religione, principi, usi, costumi e origini, in qualche modo per provare a farli sopravvivere, per «costruire» un futuro di lealtà nei confronti della bandiera a stelle e strisce. Avviene anche, come si racconta in Stelle vaganti, al popolo Cheyenne deportato in Florida. Un’assimilazione forzata molto ben evocata da Tommy Orange, con conseguenze spesso tragiche, una lunga scia di traumi e shock, tramandati di padre in figlio, dipendenti da farmaci, alcol e droghe.

Da ieri a oggi

La famiglia Star è raccontata dal narratore e dagli stessi protagonisti, a volte in prima persona, altre in terza. Vite spezzate da massacri e danni sistematici. Un disagio perenne, che torna sempre, interpretato magistralmente in un romanzo che, nella sua seconda parte, diventa d’ambientazione contemporanea, nulla a che vedere con l’iconografia cinematografica del vecchio West: Tommy Orange racconta alcune storie metropolitane di remoti discendenti delle vittime di Sand Creek nel 2018, e così torna, in contesti cittadini, qualche personaggio che si era già visto in azione in Non qui, non altrove. È il caso di Orvil, adolescente sopravvissuto in uno scontro a fuoco (nel precedente romanzo il suo destino non era chiaro…), devastato dalla dipendenza dagli antidolorifici, che prova in qualche modo a vivere, sebbene il mondo attorno a lui sia più che altro ostile.

Vite ferite e tossiche

Tommy Orange ipnotizza chi lo legge, come la prima volta anche se in modo diverso. Con un volume stilisticamente meno sperimentale del precedente, ma che finisce altrettanto a valanga fra i pensieri di chi lo sceglie e lo legge. Con una storia di resistenza, perché intimamente i discendenti di Jude Star, nonostante persecuzioni e “rieducazioni”, e pur nelle contraddizioni di sfide complesse, di amori e autodistruzione e disperazione, vite ferite, tossiche, lacerate e malconce, mantengono nel cuore le origini e fanno di tutto per comprendersi.

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