Situazioni e individui tragicomici, di cui si sorride amaramente, popolano “Paradiso”, secondo romanzo di Michele Masneri. Attraverso gli apparentemente antitetici Federico, giornalista milanese e idealista, e Barry, cinico e mondano personaggio di Roma. Un viaggio nel cuore della capitale, quintessenza di miserie umane e non, dell’evanescente e del superficiale, fra salotti e terrazze, dove si mangia e si chiacchiera…
Un fenomenale giornalista di costume del quotidiano Il Foglio ha la stoffa del romanziere e, attingendo a miti e leggende di Roma – non Roma classica, ma Roma contemporanea, di umane miserie e decadenze – costruisce con ritmo pirotecnico e padronanza lessicale Paradiso (187 pagine, 18 euro), per Adelphi, libro rivelazione; è il quinto in dieci anni di Michele Masneri, il secondo romanzo, che in qualche modo dialoga col primo, Addio, Monti, pubblicato da Minimum Fax. Paradiso è molto più di un lungo reportage sulla capitale: si fa beffe di quel che resta del giornalismo e di quel che resta della moda, alimenta la consapevolezza che prendersi sul serio non è possibile, e praticamente nessuno lo fa in queste pagine, sorride amaramente dell’immutabilità della Roma dei salotti, dei suoi irresistibili e surreali protagonisti, giornalisti, politici, influencer, potenti o millantatori, aristocratici o poveracci, che danzano a un passo dal precipizio. Maschera suprema di questa metropoli grottesca, di questa versione contemporanea della commedia all’italiana, fra individui sgangherati e cialtroni è Barry Volpicelli, uno che gira in Rolls Royce gialla con targa californiana, secoli prima autore di grandi reportage, fissato con l’America e la Beat Generation. A lui si è ispirato per il protagonista del suo film capolavoro, America Latrina, vincitore dell’Oscar, un regista calabrese. Ed è questo cineasta, Mario Maresca, che deve intervistare il giovane giornalista Federico Desideri per conto della rivista milanese per cui lavora, seppure da partita Iva, per la disperazione del suo fidanzato Martino. Nel giorno del suo compleanno va a Roma, l’incontro con la città non potrà non segnare la sua vita.
Un Virgilio sui generis e l’intervista
Sardonico e irriverente, con citazioni cinematografiche e letterarie più o meno smaccate, Michele Masneri ha un dichiarato modello (lo era anche del primo romanzo), ovvero Alberto Arbasino. E non lo fa rivoltare nella tomba. Con verve e senza cali di tensione ci conduce nell’estate afosa di Roma, tra cocktail e cialtroni. Federico Desideri sembra sprovveduto, sicuramente spaesato, tra individui indolenti e sgangherati, cinema e Chiesa, salotti e ristoranti, fino al Paradiso, ameno borgo di bungalow di fronte alla spiaggia rifornita periodicamente di sabbia dai residenti, per evitare che il mare eroda tutto. Il suo Virgilio sui generis sarà proprio Barry Volpicelli. Anticipiamo soltanto che l’intervista a Maresca andrà a monte tra pagina 112 e pagina 113. Barry Volpicelli prova a fare invano da cerimoniere e spiega a Federico, per scusarsi dell’appuntamento per nulla fruttuoso: «Ha sempre bisogno di umiliare qualcuno, altrimenti non è contento… Credo sia il suo modo per scaricare l’ansia, è terrorizzato che prima o poi si scopra che è un bluff totale». Intervista a parte, l’antieroe di Michele Masneri – idealista contrapposto al cinico Barry – non si risparmia nessuna tappa di un viaggio che ha sprazzi comici, patetici, teneri, tragici, fra personaggi, quelli del Paradiso, se possibile ancora più caricaturali e grotteschi, quintessenza dell’ondivago, del superfluo, dell’evanescente e del superficiale.
La vocazione al degrado
Uno degli aspetti in cui eccelle Michele Masneri è la godibile mescolanza di alto e basso, il racconto di Roma come di uno spazio autoreferenziale, in cui il tempo scorre più lentamente, in cui non si trovano neanche due dei tanti orologi pubblici a segnare la stessa ora, un mucchio di rovine, specialmente quelle invisibili, quelle che albergano nei petti di uomini e donne, spesso miseri, incapaci, esilaranti, spettrali, impegnati il più delle volte a gozzovigliare, a chiacchierare. È ben evocata, in certi passaggi con un pizzico di manierismo – gigioneggiando da funambolo – la vocazione al degrado della capitale, che tutti seduce e tutti sovrasta. Lettura spassosa e da magone, un romanzo più che riuscito.
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