Un delitto vecchio di decenni irrompe nel noioso tran tran dell’ispettrice e criminologa Giulia Vella, trasferita da Milano a Palermo. Giuseppina Torregrossa in “Stivali di velluto” racconta come il tentativo di soluzione del caso si intrecci a una scoperta intima: i suoi genitori l’hanno adottata da neonata e si mette alla ricerca della madre biologica…
I gialli di ambientazione romana (due, pubblicati da Marsilio, ne abbiamo scritto qui e qui) erano un filo più ispirati, dai meccanismi più oliati, ma anche quest’ultimo poliziesco, che stavolta si svolge a Palermo, conferma Giuseppina Torregrossa abile nel confezionare polizieschi garbati, scorrevoli, senza troppe pretese intellettualistiche. Il lettore che vuol farsi intrattenere per qualche ora è servito. Questo è quello che promette e mantiene Stivali di velluto (156 pagine, 15 euro), racconto lungo, di piccolo formato, che Giuseppina Torregrossa ha affidato alle cure della casa editrice Rizzoli.
Più scartoffie che azione?
L’eroina di turno si chiama Giulia Vella, criminologa specialista di serial killer e ispettrice, un padre questore e un trasferimento ottenuto, da Milano a una caldissima Palermo estiva. Bella, ambiziosa e… raccomandata. La vox populi, tra superiori e colleghi, non lascia scampo. E lei, inizialmente, è insofferente a tutto, all’accoglienza ricevuta, tutt’altro che calorosa, e al lavoro quotidiano, fatto più di scartoffie che di azioni sul campo. Come se non bastasse una recente scoperta sulle proprie origini le ha messo in subbuglio l’esistenza: ha scoperto d’essere stata adottata da neonata e vorrebbe rintracciare la madre biologica…
Bellezza e squallore
Alla già abbondante carne al fuoco si aggiunge il principale incarico che le piomba addosso: la soluzione di un cold case che risale al 1977, la morte di Ermanno Mazza, direttore di un piccolo e periferico ufficio postale (e genero di un boss, ma estraneo ai giri mafiosi), a causa di una rapina finita male. Sarà l’inizio di un’indagine compiuta con un’agente, Paola Arena – soprannominata Cuor contento, che si rivelerà un’ottima spalla per Giulia – e in un secondo momento con Francesco Massaro, aitante collega, e perfino con Panseca, ispettore in pensione, che aveva lavorato al caso negli anni Settanta. L’ambientazione siciliana costringe inevitabilmente a fare i conti con qualche pennellata di troppo colore, con qualche cliché, con la brulicante generosità e affettuosità di varie figure, anche pittoresche. Giulia gradualmente sarà sedotta dalle contraddizioni di Palermo, in cui convivono estrema bellezza e autentico squallore. Il caso da risolvere, come i nodi interiori, riescono però a non farsi offuscare troppo dal… contorno. E il finale è davvero a sorpresa, spiazzante, difficile…
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