Tra i primi due romanzi di insuccesso e il capolavoro “La coscienza di Zeno” si collocano tre novelle incompiute di Italo Svevo, accompagnate da lettere e documenti inediti, e raccolte in “Racconti muranesi”, a cura di Antonio Trampus. Tra lettere e ricerche si dimostra come queste storie brevi fossero documenti di vita vissuta, più che opere di invenzione…
Non il testo, ma il paratesto e, in qualche modo l’interpretazione. Non il testo è inedito, ma lettere e documenti che adesso lo accompagnano sì, e sono stati scoperti e pubblicati da uno studioso triestino che vive a Venezia, Antonio Trampus, che ci invita a guardare con occhi nuovi all’apprendistato di scrittori di uno dei grandi del Novecento europeo. Un suo illustre concittadino, Ettore Schmitz, ribattezzatosi Italo Svevo, abitò per anni in Laguna, a Sacca Serenella, a Murano, e quell’esperienza fu palestra di vita e di letteratura. L’arrivo nelle librerie di Racconti muranesi con documenti inediti (164 pagine, 15 euro), per la bella collana VentoVeneto dell’editore vicentino Ronzani, è da valutare con attenzione e da salutare con gioia.
Lettere, foto e un saggio
Queste tre novelle incompiute (Cimutti, In serenella, Marianno), scritte nei primi anni del ventesimo secolo, precisamente fra il 1904 e il 1909, risalgono appunto al periodo in cui Svevo lavorò per la ditta Veneziani (quella del suocero), una fabbrica di vernici per navi, nell’isola di Murano: filiale italiana di una ditta austriaca, perché allora Trieste era oltre confine. Sono alle spalle, per Italo Svevo, gli insuccessi di Una vita e Senilità, ma non evidentemente il fuoco letterario ed è in quei racconti che in qualche modo lo scrittore giuliano cova la rivoluzione de La coscienza di Zeno. Ricerche effettuate e lettere rintracciate da Antonio Trampus, di professione storico, conducono ai motivi autobiografici che ci sono dietro queste storie brevi, che occupano meno della metà del volume, e sono accompagnate da alcune lettere alla moglie Livia (a cui racconta le ore e i giorni in cui riesce a smettere di fumare), da foto in bianco e nero e da un pregevole saggio del curatore Trampus. Furono certamente anni di intenso lavoro e di viaggi per il direttore della fabbrica, Italo Svevo, che però trovò il tempo per tornare a confrontarsi con la scrittura creativa, evidentemente influenzata, come si dimostra negli apparati critici di questo libro, dalla vita quotidiana.
Un paradiso (anche per commercianti e industriali)
Nell’isola veneziana di Murano, che considerava un «vero paradiso», Italo Svevo scrive, con partecipazione (e talvolta con lirismo), di lavoratori con famiglie a carico, di gente di salute malferma, di mariti che spendono il poco che guadagnano facendo bagordi in osteria, di donne sottomesse e costrette a lavorare di più, per ripianare in qualche modo le spese dei consorti. Analizzando i manoscritti, rintracciando anche discendenti di uomini e donne che ispirarono Italo Svevo, Trampus dimostra compiutamente la natura di testimonianze e di documenti dei racconti (pare scritti al riparo dagli indiscreti occhi della suocera imprenditrice, Olga Veneziani Moravia, che non apprezzava le sue velleità letterarie…). Ripercorre i luoghi, rintraccia la vecchia fabbrica, ricostruisce le vite degli operai della fabbrica chimica, racconta la vivacità commerciale e industriale di Murano, rievoca il capitalismo illuminato della famiglia Veneziani, che si prendeva cura dei propri dipendenti, trovava loro una sistemazione, si preoccupava della loro salute e di quella dei figli. È un bel modo di fare sposare letteratura e storia, sogni di sogni e vita vissuta. Un libro che fa emergere qualcosa che prima non si sapeva, che mette meglio a fuoco alcuni aspetti inediti, che s’interroga sulla vita e sulle opere di un grande scrittore come Italo Svevo, è sempre benedetto.
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