Ocampo e Woolf: libri, farfalle e reciproca ammirazione

“Corrispondenza” raccoglie neanche trenta lettere che Victoria Ocampo e Virginia Woolf si scambiarono fra il 1934 e il 1940. Colte e intraprendenti, Ocampo e Woolf, erano animate da desideri di libertà ed emancipazione e dall’ironia. Fra loro grande unità d’intenti, ma anche qualche dissidio…

«Querida Virginia…», «Dear Victoria». Siamo dalla parti del gotha mondiale della letteratura, da una sponda all’altra dell’oceano Atlantico. Virginia Woolf è una delle massime figure del primo Novecento letterario, Victoria Ocampo, oltre che scrittrice (qui abbiamo scritto di uno dei suoi libri più noti), editrice e agitatrice culturale di primissimo piano, tanto da lanciare BorgesSábato, Cortázar e Bioy Casares. Simili e diverse, basti pensare all’opposto atteggiamento nei confronti delle… foto: la Woolf odiava farsi ritrarre, motivo che causò uno spiacevole disguido fra le due, poi chiarito in modo epistolare. Il volume con le lettere di queste due primedonne intelligenti e sensibili, tradotte per la prima volta in italiano, è uno dei gioielli del nuovo corso della casa editrice Medhelan, costola che nasce dall’originaria Settecolori, ed è un progetto altrettanto raffinato e fuori dagli schemi. Corrispondenza (141 pagine, 18 euro) di Victoria Ocampo e Virginia Woolf, è curato amorevolmente e in modo dettagliato da Francesca Coppola, da Manuela Barral in originale per la compilazione della corrispondenza, ed è introdotto da un bel saggio di Nadia Fusini, oltre a offrire in una robusta appendice alcuni paratesti, uno più interessante dell’altro.

Pochi incontri e una… venerazione

Libertà, ironia e reciproca ammirazione sgorgano dalle neanche trenta lettere ritrovate (in gran parte scritte da Virginia Woolf, “sopravvissute” a certi “roghi” dell’argentina), della corrispondenza fra Ocampo e Woolf, che si scrivono, in francese e in inglese, fra il 1934 e il 1940. Pagine brillanti, senza invidia alcuna, anzi con ripetuti incoraggiamenti e ringraziamenti, e col dispiacere di riuscirsi a vedere poco e qualche volta a sfiorarsi appena, senza incontrarsi. Uno scambio epistolare che, inevitabilmente, passa anche dalle difficoltà vissute dalle donne per imporsi nel panorama culturale dell’epoca. Victoria Ocampo, animata da una venerazione smaccata, contribuirà alla diffusione delle opere di Virginia Woolf (e non solo) nei paesi di lingua spagnola, affidandone le traduzioni a giganti, a cominciare da Borges, che firmerà Una stanza tutta per sé nel 1936 e Orlando nel 1937; la successiva traduzione di Al Faro sarà firmata da Antonio Marichalar, nel 1938.

La nostalgica e la visionaria

Si scambiano doni (farfalle e fiori), stima e idee, Ocampo e Woolf. Più nostalgica e piena di ammirazione la prima, decisamente curiosa e visionaria la seconda. Aristocratica, ricca e, in gioventù, aspirante attrice, Victoria Ocampo, non aveva esitato quando c’era stato da mandare a monte il proprio matrimonio già in viaggio di nozze. Viaggiatrice, abile a conversare in più lingue, ebbe rapporti privilegiati con Camus, Malraux, Drieu la Rochelle, fece tradurre Faulkner, Graham Greene, Dylan Thomas. Quando seppe del suicidio di Virginia Woolf, Victoria Ocampo – che ancora per decenni avrebbe fatto grandi cose – non potè fare a meno di citare la dedica di un romanzo dell’amica:

Perché anche io cercando una frase, non ne trovai nessuna che potesse comparire vicino al suo nome.

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