Un lupo impossibile da addomesticare. È questa l’impressione che emerge dalle pagine autobiografiche del polacco Janek Gorczyca, che vive a Roma da decenni e ha scritto “Storia di mia vita”. Il linguaggio ruvido e verace fa la differenza, al di là delle vicende picaresche che racconta. Un libro inizialmente scritto a mano su alcuni quaderni, un’intuizione felice la pubblicazione
Janek Gorczyca sta alla categoria degli scrittori, come il lupo sta ai canidi. E Janek è il lupo, ovviamente. Selvaggio, indomito, intelligente, capace di fare branco eppure intimamente solitario. La differenza non la fa soltanto il vissuto, ma anche il fatto che Janek non ha scritto per vanità o per soldi, sognando un firma copie o un prestigioso premio letterario. Un vissuto che il sessantaduenne autore polacco ha messo per iscritto in Storia di mia vita (144 pagine, 15 euro), diventato un libro grazie a Sellerio: l’autore racconta di sé in prima persona, senza aggiungere o togliere nulla, senza fare sconti a nessuno, in primis a sé stesso. Racconta della fuga dalla Polonia, delle menzogne del regime comunista, del carcere, del tentativo di suicidio, dell’ospedale psichiatrico, della dipendenza dall’alcool che lo affligge e che ha ucciso la sua Marta. E lo fa con disarmante naturalezza, senza sprecare aggettivi, privo enfasi e piagnistei, con l’intento di narrare la sua vita, dura e vera, fatta di alti e bassi come quella di tutti, di lotte e botte, di amore, di morte e di violenza.
Questo sarà un breve racconto di mia esperienza sulla vita per strada. Tutto comincia nel 1998 di ottobre, io sto in una stanza a Campo dei fiori, contratto di lavoro scaduto, permesso di soggiorno uguale, ho un milione e mezzo di lire in tasca, e penso come riprendere tutto, ma non è facile
Un mestiere e tanta generosità
Janek è un senzatetto che da oltre trent’anni tira a campare per le strade di Roma che ormai conosce benissimo. Ha un mestiere per le mani (fa il fabbro), dorme spesso in case occupate o sotto un portico, è forte come un cavallo, riesce a legare con le persone e sovente a farsi apprezzare perché è operoso, ingegnoso e generoso. Ma affrancarsi da una condizione che alberga nel suo intimo, è tutt’altro che semplice. Come un lupo, appunto, che non è mai possibile addomesticare del tutto.
Per me due panini a settimana e domande cretine
tipo “come stai” sono una umiliazione.
Una lingua martellante
Questo non è il primo libro che racconta una vita vissuta ai margini, in sospeso sul bordo di un cornicione. Cosa ha indotto, allora, tanti lettori e critici a definirlo “l’esordio dell’anno”? Forse, più che il taglio picaresco, l’originalità della scrittura, fortemente evocativa, da cui senz’altro deriva la sua potenza. Un linguaggio tanto ruvido, quanto verace. Quella di Janek è una lingua appresa in mezzo alla strada, tra alcolizzati e disadattati, un italiano scorretto (come si intuisce dal titolo), imbastardito dal dialetto romanesco, ma autentico e comprensibile a tutti, che riga dopo riga, pagina dopo pagina, diventa martellante, fino ad assumere un ritmo tutto suo. Per la musicalità che sprigiona ricorda Remo Rapino e il suo Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, ma c’è anche chi ha scomodato John Fante (Chiedi alla polvere), Jean-Claude Izzo (Il sole dei morenti) e perfino Vincenzo Rabito (Terra Matta) e Tommaso Bordonaro (La spartenza).
Non ho più niente da dire solo che la vita è questa
ma questo è un racconto non diario di un capitano di barca
Alle origini del fenomeno Gorczyca
Janek ha cominciato a scrivere Storia di mia vita spinto dello scrittore Christian Raimo, che conosce da parecchio tempo e con cui ha anche convissuto per un periodo. Raimo avrebbe trascritto al computer i quaderni scritti a mano in stampatello da Janek per farli leggere successivamente a scrittori ed editor, tra cui Mattia Carratello di Sellerio. E così Janek è arrivato in libreria: ora è ricercato, intervistato, fotografato, acclamato. Una intuizione felice quella della casa editrice palermitana: Janek Gorczyca è un “animale” raro e prezioso nel mondo dell’editoria, che (si spera) non si farà incantare e incatenare dalle luci della ribalta. Non ci sarebbe da stupirsi se questo rimanesse il suo unico scritto. 144 pagine da addentare e divorare in poche ore. Il suo è un ululato potente che squarcia il buio e attraversa la città dei lettori, surclassando l’abbaiare monotono dei tanti cani che scodinzolano al guinzaglio del padrone, aspettando il prossimo pugno di croccantini.
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