Uno dei migliori e più complessi intellettuali italiani del Novecento, Franco Fortini, mostrato nel dietro le quinte della stesura delle schede editoriali per lo Struzzo. In “Pareri editoriali per Einaudi” giudizi precisi e spesso feroci, specie per le opere, italiane inedite o straniere da tradurre, che gli appaiono fasulle, non autentiche…
C’era una volta Franco Fortini, fenomenale militante, poeta, traduttore e critico, ebreo (Lattes era il suo vero cognome) e cristiano, dallo sguardo internazionale ma tenacemente legato alla tradizione letteraria italiana, erudita e lucida coscienza che ha attraversato il ventesimo secolo, marxista mai pentito, «comunista speciale», come scrisse ironicamente in una sua poesia del 1958. Sguardo profondo, analisi densissime, figura complessa, il fiorentino Franco Fortini, da cui è impossibile prescindere, se si guarda al Novecento italiano. Da Olivetti a Vittorini, dall’insegnamento negli istituti tecnici a quello universitario, Franco Fortini era consulente di alcuni dei maggiori editori italiani dell’epoca.
Gli interlocutori e una collana
I suoi pareri per la case editrice Einaudi sono stati raccolti in volume da Quodlibet e dall’Archivio Franco Fortini, grazie alla cura rigorosa e alla selezione scrupolosa di Riccardo Deiana e Federico Masci. Sono una bella avventura da leggere questi Pareri editoriali per Einaudi (245 pagine, 20 euro). Stringato, spigoloso, ironico, fulminante e spesso anche simpaticamente perfido, Fortini dialogava con lo Struzzo dei tempi d’oro, facendo sentire la propria voce da consulente, senza dimenticare, anzi spesso sollecitando l’opinione altrui, per esempio quella di altri dispensatori di buoni consigli, come Alfonso Berardinelli, Pier Luigi Mengaldo e Walter Siti, valenti collaboratori della casa editrice torinese. O chiamando in causa chi ha sollecitato un’opinione o un giudizio professionale; da Magris a Citati (tutt’altro che amato…), da Bazlen a Linder. Il frutto più maturo di quella stagione? La collana dei “Nuovi poeti italiani”, che rispondeva a un obiettivo dichiarato: «Occupare uno spazio vergine del mercato letterario, potenzialmente proficuo».
Giudizi spesso duri e… spiritosi
È un’attività critica nascosta, lunga anni, in due distinti periodi (1947-1963, 1978-1983), quella che Fortini porta avanti, ingranaggio lunga il processo che porta la Einaudi, come pure quasi qualsiasi casa editrice dell’epoca, a decidere quali testi accogliere nel proprio catalogo, quali volumi portare in libreria. Sono giudizi non estemporanei, ma figli di una metodologia, letterari e commerciali – alcuni tratti da sistematiche schede editoriali, spesso dettate al telefono, altri da lettere – che Fortini offre prevalentemente come consulente esterno. I suoi pareri di lettura, che riguardano opere inedite italiane e straniere da tradurre, sono estremamente interessanti, anche quando sono feroci («un divertimento che diventa presto monotono», scrive a proposito di Lunario del paradiso di Gianni Celati, di cui comunque si dichiara alla fine favorevole alla pubblicazione, «un po’ a malincuore»), o duri ma spiritosi, come per esempio quando scrive a proposito di alcuni versi di Giuseppe Giovanni Salerno: «un caso singolare ed esemplare di poesia falsa che sembra vera […] senti la volontà, la tensione a fare un “come se” della poesia[…] è un po’ come certi begli uomini, ex aviatori, ex rappresentanti di imprese petrolifere, un po’ brizzolati, baritonali, esperti della vita notturna di Rio e di Singapore… Hi! Hi!». Cerca voci originali e sincere, Fortini, detesta quelle fasulle, odia tutto ciò che possa suonare phony, l’artificio, l’ipocrita, il retorico superfluo. Esalta Slawomir Mrozek che «ha la vivacità e la verità delle cose autentiche», si schiera contro il linguaggio come «acrobatico vaniloquio, oracoleggiante e fumoso, fastidioso»; in questo caso il bersaglio è Maurice Blanchot («uno dei critici che pretendono al discorso ininterrotto; e che quindi – rincara – possono essere interrotti pressoché ovunque senza gran danno»), che comunque alla fine Einaudi deciderà di pubblicare.
Valutazioni positive e… dirottamenti
Quando si imbatte in libri importanti, Franco Fortini non impiega molto a individuarli, come Addio al Reno di Alfred Döblin. Ammette che L’invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares è «perfetto». Tanto da scrivere anche: «Sospetto che l’autore sia Borges stesso». Ci sono anche libri che saranno poi pubblicati da altri editori: giudicati positivamente ma, per varie ragioni, considerati non adatti a indossare gli abiti einaudiani. Capita più di una volta. Poi ci sono titoli caldeggiati, come sempre in modo singolare («Divertente, e spiritoso nei particolari. […] noiosissimo nell’insieme.[…] Le probabilità di rientrare nelle spese sono assai elevate. È però necessario un forte lancio pubblicitario e il libro deve uscire al più presto: massimo entro un anno, finché il vento della moda può girare»), ma che finiscono per essere editi altrove. Il riferimento è al più famoso libro di Perec, poi pubblicato da Rizzoli, e ancora adesso fa capolino come pezzo prezioso della Bur. Per Fortini era «kitsch, come il suo titolo. Contributo alla creazione di sottoletteratura». Non meno tenero era stato con un grande libro come Adamo risorto di Yoram Kaniuk (qui l’articolo), israeliano che visse anche negli Usa: «A naso, non di un libro cattivo, ma di un libro “fatto”, fabbricato (come tanta letteratura americana)».
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