Nel nuovo volume della serie che ha come protagonista Manrico Spinori, Giancarlo De Cataldo salda giallo all’inglese e irrituale ironia da sacrestia. Ne “Il bacio del calabrone” i protagonisti auspicano la veloce chiusura di un fascicolo, ma le cose non vanno così…
Roma. Aprile 2019. La serata del melomane romano sostituto procuratore della Repubblica Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Rick Contino Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda non sta andando bene: su invito del sovrintendente Luci ha appena assistito alla prima di una nuova (brutta) edizione della Traviata di Verdi al Teatro Costanzi e sta partecipando (suo malgrado) alla cena di gala nell’immenso salone del Laboratorio del Teatro dell’opera. Incrocia una donna affascinante e il suo umore cambia: Vera Grant, alta, capelli corti color mogano, collo stratosferico, occhi scuri e profondi di taglio orientaleggiante, voce armoniosa e modulata, orecchie delicate, abito verde, sciarpa bianca e nera, etero e single. Lei conosce tutti lì, dirige a Milano il canale telematico e la relativa rivista “Absolute Fashion” e quello è un evento offerto dall’attempato Tito Cannelli, titolare della maison omonima (una grande casa di moda) e sposato con la giovane ucraina Irina Zed, ex modella e nuova direttrice creativa. Il magistrato chiacchiera con Vera, poi si salutano molto cordialmente.
Una morte accidentale?
Uscendo Manrico si accorge di una certa agitazione, rientra nel palazzo e gli dicono che Cannelli si è sentito male, è morto, uno shock anafilattico forse per colpa di un insetto che lo ha punto, ne era notoriamente allergico. Una mattina dopo ne parla con Gaspare Volpe Argentata Melchiorre, il procuratore capo: sembra una morte accidentale ma l’interesse dei media scandalistici li induce presto ad aprire un fascicolo con l’idea di chiuderlo prima possibile. Non sarà così. Vien fuori qualcosa di sempre più losco: video di minacce durante la cena, conflitti e gelosie fra i vertici, competizione aspra per vendite e acquisti (che coinvolgono arabi e francesi), avvocati ammanicati con la criminalità organizzata, antiche vendette e altri omicidi. Con Vera nasce una relazione (le cose non andavano più molto bene con l’informatica Maria Giulia) e lei è molto utile all’indagine, forse troppo per frequentarsi leali a lungo.
Due generi
Il bravo ex magistrato e grande scrittore Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) non è un melomane di gioventù, da oltre un decennio ha riscoperto l’impatto emozionante dell’opera lirica, il che ha dato nuove priorità alla vita sociale e anche, per l’ennesima volta con successo, all’identità letteraria. Con Il bacio del calabrone. Un caso per Manrico Spinori (239 pagine, 18 euro), per Einaudi, siamo già alla quinta avventura della nuova gustosa serie di gialli, tutti casi romani clamorosi in solo sei mesi per Manrico (autunno 2018 – primavera 2019), il sesto arriverà presto. Il bel signorile melomane è un gran personaggio, perfetto per mescolare l’esperienza professionale e la passione musicale di De Cataldo con due differenti generi narrativi: giallo all’inglese e irrituale ironia da sacrestia. Il credo è rigoroso: “non esiste esperienza umana – delitto incluso – che non sia già stata raccontata da un’opera lirica. Bisogna individuarla. E rimettere al centro della scena il melodramma della realtà”. Si comincia con il morto, come da copione, qui una vicenda complessa da collocare artisticamente. Seguono tutti i riti dell’investigazione, sia letterari che istituzionali. L’asiatico calabrone (del titolo) che uccide la prima vittima è una Vespa mandarinia e viene dal Giappone; del resto “le specie migrano… è solo la nostra stupidità che pretende di fermarle” (l’ottimo etologo Enrico Alleva fra i ringraziati in fondo).
Le investigatrici danno una mano
La narrazione è in terza fissa al passato, sempre su Manrico e, più raramente, sulla più autonoma e sciantosa delle sue collaboratrici, la poliziotta coatta “destrorsa” romanaccia Deborah Cianchetti, un metro e ottanta di tatuaggi e muscolatura da karateka, ormai certa di non essere incinta. Nelle copertine il cinquantenne Manrico è quasi sempre canuto e di spalle, il suo aspetto piace molto se a qualcuna di voi capiterà di incontrarlo. Manrico va alle prime, cita opere, ascolta musica antica, raccoglie informazioni sugli specifici riferimenti culturali del caso, è caparbio e fedele al lavoro (anche a costo di mettere a repentaglio un nuovo affetto, per quanto si annoi sempre abbastanza presto), ha un figlio musicista ben fidanzato. In questa vicenda conosce meglio da vicino il dorato sognabile mondo della moda, cosi compie errori e leggerezze, usa trucchi e furberie. Come le altre volte, a lungo non riesce ad associare alcuna narrazione lirica all’intreccio criminale, più sostanza che parodia. Qualche spunto lentamente lo trova, grazie anche al lavoro delle investigatrici, la gentile meticolosa coordinatrice 40enne Sandra Vitale (in via di riappacificazione col marito), l’efficiente sospirosa segretaria Brunella e, qui soprattutto, la bassa giovane sarda Gavina Orru, imbattibile al computer su internet. Il fido maggiordomo Camillo (badante pure dell’anziana madre, furba spendacciona ludopatica) garantisce accudimento domestico e così ogni tanto Manrico si rifugia a Sabaudia, solo o bene accompagnato. Segnalo l’utile ”ufficio dei Corpi di reato”, a pagina 214-5. Tante opere liriche e musiche classiche. Ai liquori qualche volta è preferibile un buon rosso.
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