Come sui passi di Verga si muove Juan Gómez Bárcena, che ne “Il resto è aria” scrive di un microcosmo di storie, vite, parole scritte e urlate, di lacrime e speranze. Una metafora della vita, dell’amore e della morte. Una poetica struggente e ricca di note nostalgiche
Questa storia, per essere raccontata, ha bisogno di tanto tempo quanto ci mette questa candela a consumarsi, eppure si racconta da più tempo di quello che serve a una sola ape per fabbricare tutte le candele del paese. Perciò ascoltate con attenzione, che le ore che vanno non tornano più indietro
Il respiro del tempo, i tesori della terra arata, la memoria popolare e una dedizione certosina per la ricerca storica, sono solo alcuni degli colori primari che compongono l’affresco narrativo de Il resto è aria di Juan Gómez Bárcena, traduzione di Matteo Léfebre per l’editore Gran Via.
Se Emanuele Trevi è convinto che la morte sia il polo gravitazionale attorno al quale ruota la scrittura, Bárcena scrive per resuscitare un intero paese… nei secoli dei secoli.
Un’Acitrezza cantabrica
Toñanes, 34 case, una strada e neanche un bar, è la piccola Acitrezza cantabrica.
In Fantasticheria Verga scriveva: «Bisogna farsi piccini … chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori» ed è esattamente da questo assunto che si dipana il progetto narrativo dell’autore spagnolo.
Un microcosmo di storie, di vite, di parole scritte e urlate, di lacrime e speranze, che racchiudono la metafora della vita, dell’amore e della morte.
La danza di sguardi e desideri
Il resto è aria è il racconto di un paese e dei suoi abitanti nell’arco di tutta la sua storia terrestre, è la voce di chi c’era e di chi si ostina a ritornare, un intreccio di ricordi e di omissioni, di interviste e di incontri, tutti collocati nel tempo e indicati ai margini di ogni frase.
Originale e di ardua gestione questo esperimento narrativo che annoda i fili del tempo e della memoria di un’intera cittadina, dove la voce dei nonni del 2019 si mescola in quella degli antenati, dove un ballo si protrae nella danza eterna degli sguardi e dei desideri.
Nello scorrere rurale della vita cantabrica, alla scoperta dei suoi misteri delle sue leggende, si segue l’evoluzione di un personaggio centrale del libro: il bambino dei dinosauri, quel germe fragile, piccolo punto interrogativo sull’albero genealogico, quel bimbo divenuto lo studente universitario madrileno… il raccoglitore di storie o meglio l’autore in persona.
La stragrande maggioranza dei suoi antenati sono lì, nella bobina di Toñanes, il che vuol dire che la totalità delle loro vite è trascorsa negli stessi due chilometri quadrati
La terra degli avi
È Juan Gómez Bárcena che tesse con costanza e tanto amore, un arazzo prezioso, testimonianza di mille volti solcati dall’aria salmastra, dimostrando, senza puntiglio didattico, l’universalità delle emozioni e seguendo le luci dell’orizzonte verista, guarda la sua terra con inevitabile fatalismo.
Toñanes è il paese che lo ha visto crescere, la casa delle vacanze che sua madre Mercedes e suo padre Emilio, si sono concessi, è la terra da cui vengono i suoi avi, la stessa che rivoltava in cerca dei resti dei suoi amati dinosauri.
Qui c’è la natura nella sua espressione più umana; ogni suo elemento, che sia pioggia o mare, erba o fiume, determina destini e svanisce nell’alba dei sogni infranti.
C’è la strada, quella che i turisti percorrono senza fermarsi, la stessa su cui scappano i gitani e un ponte, teatro di antiche sciagure, c’è Casa Sivilla, c’è la guerra, ci sono gli inviati del Re, il censimento che conta ogni vedova metà persona e c’è la Festa di San Tirso.
Storia ed epica
Nel dipanarsi del tessuto storico ed epico del racconto, a tratti eccessivamente documentaristico, si viene avvolti da una sorta di Melanconia, cullati da una poetica struggente e ricca di note nostalgiche.
L’odore di Toñanes. Sa di erba marcia, zuppa di fagioli; Sa di latte crudo nelle stalle e di canfora negli armadi e di legna secca nella legnaia. Sa di limonate in estate e di camini in inverno…sa di terra bagnata nei giorni di pioggia…l’odore delle vacche, l’odore del mare che s’impone su tutto.. odore di caffè la mattina…odore di tabacco da pipa…odore di zolfo nella fornace…odori che furono e che ci sono ancora.
Juan Gómez Bárcena vince con Il resto è aria il prestigioso Premio Ciutat de Barcelona nel 2022, solcando la strada alla narrativa della memoria, dove i piani temporali svaniscono nei confini dei sentimenti, vincendo così l’effimera convinzione che tutto cambi senza lasciare tracce.
Seguici su Facebook, Twitter, Instagram, Telegram, WhatsApp, Threads e YouTube. Grazie