Una commedia amara e drammatica con situazioni improbabili ma trascinanti: è “Non ho tempo per andare al mare” di Mari Accardi. Tra caos surreale e morte incombente, la protagonista, tornata a Palermo, fa la guida turistica abusiva. Il risultato è una bizzarra rilettura del turismo massificato che soffoca l’Italia…
La collana Greenwich Extra di Nutrimenti, inaugurata lo scorso dicembre, si arricchisce di una nuova voce e di un nuovo sguardo. Sono quelli di Mari Accardi, con il suo romanzo Non ho tempo per andare al mare (256 pagine, 18 euro). Una storia dalla natura “eccentrica”, proprio come da mandato dei curatori della collana, Giulia Caminito, Alessandro Mari e Paolo Di Paolo: fuori dal centro, dalla tradizione, da qualcosa di già noto, oppure che da quel terreno ordinario parte per imboccare percorsi alternativi.
Rigorosamente proprietaria di nulla
A dire il vero Matilde, la protagonista di Non ho tempo per andare al mare di percorsi ne ha imboccati già diversi poco redditizi: fallita l’idea di fare la sceneggiatrice dopo una laurea in Dams cinema, naufragata con una serie televisiva di scarso successo, la giovane donna si sposta per l’Europa alla ricerca, nemmeno troppo convinta, di un centro gravitazionale. Che sia l’indipendenza dalla famiglia, che sia uno stimolo, una passione? Il punto è che quel centro già c’è, e funziona da silente magnete: la Sicilia della famiglia la richiama come per profezia, esattamente come le aveva annunciato la nonna. E così, quasi 40 anni (35, come conferma lei, rigorosamente proprietaria di nulla, benché meno di passioni), un lavoro (l’ennesimo) precario e non qualificato come guida turistica abusiva e una famiglia da imparare a ri-gestire, Matilde torna nella sua Palermo.
Se la premessa non è extra-ordinaria, lo è però la cornice narrativa nella quale l’autrice anima la vicenda di Matilde. Siamo infatti dentro una strana commedia irrigata, come ogni commedia che si rispetti, da rivoli di amarezza e dramma tenuti insieme da situazioni improbabili ma trascinanti, capaci di strappare un sorriso mentre tutto sembra andare in pezzi. Stare in equilibrio tra le cose che le succedono, trovare un percorso e guidare sé e la propria famiglia in mezzo al caos surreale che sembra avvolgere tutto è la missione di Matilda, anche se questo lei, all’inizio, non lo sa. Il lettore lo scoprirà insieme a lei nelle tre parti in cui si divide questo romanzo, con l’annuncio di simpatiche vignette disegnate dalla stessa Mari Accardi.
Una famiglia scompaginata
Impegnata ad accompagnare turisti per sei mesi di prova presso una bizzarra agenzia turistica, Matilde vive in albergo approfittando dell’assenza di radici del non-luogo per eccellenza, così da non interrogarsi ulteriormente sui piani B, C, D ecc della sua vita che sembra un po’ scompaginata. Nella periferia di Palermo c’è però la casa dove è cresciuta e dove abita la sua famiglia, ovvero i genitori e la nonna materna, infortunata, ultranovantenne e bisognosa delle cure della figlia. Il cuore della commedia si svolge proprio in questa casa, da un terrazzino dove figurano la madre e la badante nella tipica vestaglietta femminile a fiori, fino a un’Audi posteggiata in cortile che, al bisogno, diventa rifugio per un padre scompaginato dalle circostanze che gli si avvitano intorno senza che lui riesca a reagire. Il quadro è esilarante e insieme di una tristezza che solo le gocce di ironia instillate nel linguaggio riescono a trasformare in sguardo consapevole.
Se Matilde cerca un baricentro tra la sensazione di essere intrappolata nella commedia amara della sua famiglia e in una Palermo assaltata dai turisti, anche i genitori sono piuttosto spaesati dagli eventi. A trascinare tutti nel vortice è la novantenne che richiede assistenza continua e alla quale la madre si dedica senza riserve, accompagnata da una misteriosa badante romena e dal sogno alimentato dal signor Mignon, stilista da televendita televisiva.
Cimiteri alternativi e rivalse
La nonna, come dirà la protagonista, è tutta intorno. Sull’altro lato della commedia “scompaginata” c’è sempre la morte: dalle tombe di strani gatti che sembrano reincarnarsi al portafortuna della badante che riproduce una tomba romena, dalla misteriosa foto in costume che la nonna vorrebbe sulla lapide, al loculo di famiglia acquistato a Matilde bambina.
Tempo per andare al mare, come annuncia il titolo, non ce n’è: è invece il tempo, per Matilde, di occuparsi della vita propria e della propria famiglia, prendendo il comando di un equilibrio che, passato inosservato dopo 40 anni di matrimonio, si è incrinato e sembra stia per precipitare. Ma come si fa a fronteggiare il tempo che passa, i desideri che non si realizzano ma poi, forse, ritornano, e come si fa a comprendere le aspirazioni e le paure di genitori che, invece che adulti, sembrano tornati bambini, e i bisogni di una nonna che sogna di andare in barca dal suo letto fermo davanti alle televendite? Come si fa a ribellarsi al destino, riqualificare la propria vita ancorata a un quartiere dove non si gestisce nemmeno la spazzatura e trovarsi, scoprire la propria parte autentica? «Arriva un momento, nella vita, in cui le cose si fanno e basta» sancisce a un certo punto la madre della protagonista.
Una teoria del turismo audace
Forse è proprio così: la strada è scritta nel lavoro di Matilde, una bizzarra rilettura del turismo massificato che soffoca le città italiane – anche questa originalissima creazione dell’autrice – che sembra evocare la ricerca non-sense del torpedone di turisti in Zazie nel metro di Raymond Queneau. Una festa caotica di personaggi, talmente schiacciati nei loro ruoli da divenire per Matilde, tour dopo tour, degli stereotipi che si rinnovano sempre uguali a se stessi. Si chiamano “gli audaci”: stranieri in genere, spaesati, pronti a tutto pur di godersi la vacanza, seguono una guida non autorizzata che a sua volta si affida a un vademecum per principianti, la loro audacia è già tutta nel viaggio ed è l’emblema di un turismo sperso proprio come la protagonista di questo romanzo. Matilde, persa nella sua città, dovrà affidarsi proprio ai suoi “audaci” per divenire lei audace, autodichiararsi adulta, prendere decisioni, arrendersi persino alla Sicilia che la richiama. Se l’aggettivo audace le sembra, all’inizio, sinonimo di conforme, tra un colpo di scena ironico e l’altro avrà la conferma che non sempre le cose sono così facilmente classificabili. E deviazione dopo deviazione, scoprirà proprio in quel posto decentrato che è solita chiamare casa – un posto inadatto per i turisti, ma stranamente ricorrente nei suoi tour – il luogo dove trovarsi.
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