“Lettere a Milena” – di cui solo in anni recenti, è stato possibile pubblicare un’edizione esaustiva e senza censure – è l’opera più compiuta, giunta nel futuro, di Franz Kafka, morto cento anni fa. Epistolario di un amore di luci tenebrose, timido e incompiuto (con rimandi a Dostoevskij e Dante) in cui si riconoscono altri temi tipici della produzione dello scrittore praghese: le rovine della Grande Guerra, la malattia, la solitudine, il rapporto con l’ebraismo
Forse sarebbe bastato uno dei più famosi epistolari di sempre a definire come scrittore colui con cui un po’ tutti hanno fatto i conti nell’ultimo secolo. Lettere a Milena (440 pagine, 20 euro) è l’opera più compiuta di Franz Kafka giunta a noi, sebbene si sia dovuto lavorare a lungo per restituirla alla sua forma originaria (senza le censure dei due autori, e qualche cautela di troppo nella primissima edizione del 1952), grazie a un’edizione critica, con magnifico apparato, esaustive appendici, tanti testi extra di grande rilevanza, edizione pubblicata nel 2013, e pubblicata in Italia dalla casa editrice Giuntina, con la cura di Guido Massino e Chiara Sonino (tra i prototipi individuati nell’epistolario c’è il Dostoevskij de Le notti bianche e la Vita Nova dantesca, con un parallelo fra Milena e «Beatrice in soccorso di Dante smarrito nella selva oscura»), e l’accurata traduzione di Isabella Bellingacci, realizzata direttamente dai manoscritti originali custoditi all’Archivio di letteratura tedesca a Marbach am Neckar, in Germania.
Pochi giorni dell’estate 1920…
Praghese che vive a Vienna, collaboratrice di giornali e riviste, Milena Jesenská era per quel genio tormentato di Franz Kafka un fuoco vivo, la vita impossibile, l’amore incompiuto, finito prima che iniziasse. Colta, vitale, coraggiosa, giovane, cristiana, infelicemente sposata con l’ebreo Ernst Pollak (tanto da sostenere che «non ci si sposa per essere felici ma perché non si può fare altrimenti»), Milena si propone di tradurre in ceco alcuni racconti del concittadino, più anziano di lei di tredici anni. E gli fa credere che vivere sia addirittura possibile. Gli scambi via posta vanno avanti dal 1919 al 1923 (un anno prima della morte dello scrittore), ma si concentrano prevalentemente nel 1920 (quando Kafka è in un sanatorio di Merano per curare la tisi), anno del loro primo incontro, il più felice, a Vienna, tra il 30 giugno e il 4 luglio 1920. Milena morirà vent’anni dopo Kafka, nel lager di Ravensbrück, avendo già consegnato in mani sicure il carteggio con Kafka. Quando la Germania aveva occupato la Cecoslovacchia, la donna si era unita alla resistenza clandestina, aiutando perseguitati politici ed ebrei, tanto da essere riconosciuta come una dei Giusti delle Nazioni.
La malattia spirituale e il coltello…
Dopo i primi scambi di natura professionale, in cui Kafka si mostra molto esigente, ci sono anche timidi approcci sentimentali, in cui lo scrittore fa un passo avanti e tre indietro, dissimula, temporeggiando su un possibile appuntamento, quasi mette in guardia Milena. «Io sono spiritualmente ammalato, la malattia polmonare è solo un tracimare della malattia spirituale», le garantisce ad esempio. E poi un’altra frase, quasi proverbiale, universalmente nota: «…non è neanche vero amore quando dico che tu sei la cosa a me più cara; amore è che tu sei per me il coltello col quale frugo in me stesso».
Cuori nudi e parole più spoglie
Oltre l’amore di luci tenebrose – spirituale, complesso e disperato – fra due anime affini, dalle lettere, che meritano più di un piano di lettura, emergono i cuori nudi di Franz e Milena, e temi che non sono una novità per chi ha frequentato i libri dello scrittore praghese: le rovine e gli abissi lasciati dalla Grande Guerra nel cuore dell’Europa, la malattia, la solitudine, il rapporto con l’ebraismo (la fascinazione per quello dell’Europa dell’est: «Se dunque mi avessero lasciato libero di scegliere quello che volevo essere, avrei voluto essere un piccolo fanciullo ebreo orientale»), la consapevolezza dell’arenarsi della scrittura, almeno quella di romanzi e racconti, mentre nelle lettere la scrittura si fa diretta, spoglia di quasi qualsiasi allegoria e metafora.
P. S. Chi sognasse un finale diverso per Franz Kafka, non la morte prematura poco più che quarantenne, legga Selva Oscura – titolo smaccatamente dantesco – di Nicole Krauss (qui l’articolo)
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