Diego Mormorio e i sentieri poco battuti della Sicilia

Fotografo e studioso, discepolo di Sciascia, Diego Mormorio ha scritto una miscellanea di racconti su una Sicilia non da cartolina e non oleografica. Il suo “Di cose, fatti, animali siciliani” è un volume prezioso, scritto da un narratore che, inevitabilmente, ha uno sguardo fotografico…

Uomo di fotografia e letteratura, saggista di lungo corso, discepolo di grandi intellettuali, a cominciare da Leonardo Sciascia, il marsalese Diego Mormorio, nato in Venezuela, ma fin dall’infanzia rientrato in Sicilia con i genitori, ha per una volta accantonato gli interessi specialistici di una vita e dato fondo al suo bagaglio di grandi conoscenze letterarie e filosofiche. Incarnando finalmente un’anima di narratore, facendola riaffiorare dopo averla forse a lungo trascurata e un po’ repressa, un’anima che forse gli è perfino più congeniale delle sue altre anime. Il risultato è un denso volume di racconti e micro racconti, pubblicato dalla casa editrice Avagliano, Di cose, fatti, animali siciliani (198 pagine, 16 euro).

Tradizioni, protagonisti, luoghi ameni

Sono storie sul filo dei ricordi, che oscillano fra tradizioni popolari, processioni religiose (si pensi a quella dei Misteri di Trapani), facezie, ricordi di grandissimi intellettuali magari non universalmente noti (si pensi al poeta Lucio Piccolo) e di personaggi indimenticabili (ad esempio Peppino Impastato), luoghi, angoli della Sicilia poco noti, poco battuti, ma che restituiscono l’Isola in modo efficace. Si tratta di racconti non particolarmente lunghi, inseriti in una cornice, un espediente narrativo gustoso, ovvero uno scambio di brillanti messaggi di posta elettronica tra il farmacista Pipitone e il Mescolatore, ovvero il direttore di una biblioteca che sta scrivendo una miscellanea di testi sulla Sicilia e si ripromette di inviarli via via che li compone all’altro, ed è così che il libro di Diego Mormorio prende forma.

Una questione di memoria e amore

L’occhio fotografico dell’autore, innegabilmente, non può che influenzare la scrittura dell’autore. La fotografia in sé appare solo in una storia di tre paginette, ma il modo di posare lo sguardo su oggetti, persone, piante e animali (c’è anche l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo) è certamente quello limpido di un fotografo di professione, che con la scrittura riesce a interpellare tutti i senti. Combinato alla forza della memoria e ai sentimenti di appartenenza e amore nei confronti della Sicilia. Il risultato è un volume prezioso, che evoca una Sicilia spesso d’altri tempi ma non oleografica, non da cartolina. Un bel viaggio.

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