Già grande al primo tentativo letterario Vasilij Grossman che, con “Il popolo è immortale” – romanzo ritornato a nuova vita, senza i tagli della censura sovietica – prepara il terreno per le sue opere maggiori. Non un semplice racconto patriottico e fazioso che esalta la resistenza dell’Urss all’invasione nazista, ma un affresco complesso, che tiene conto anche di errori e disfattismo, che dà conto di raccapriccianti atrocità, del dramma dei civili, degli orrori della seconda guerra mondiale, e di ogni guerra…
Si fa presto a dire opera minore. Quando c’è di mezzo Vasilij Grossman – grande scrittore celebrato solo postumo – è sempre un azzardo. Il sovietico Grossman – nato in Ucraina da genitori ebrei – si è via via affermato come autore imprescindibile, anche in Italia, presso critica e lettori avvertiti. Il suoVita e destino è certamente tra i romanzi fondamentali del ventesimo secolo e la galassia degli altri suoi titoli che sono stati rilanciati in tutto il mondo, negli ultimi anni, non è da meno. Ultimo arrivato è Il popolo è immortale (285 pagine, 20 euro), pubblicato ancora da Adelphi edizioni, in origine uscito a puntate, poi in volume, ma adesso ricostruito filologicamente, in modo meticoloso e presentato nella sua versione definitiva (con passaggi prima censurati e adesso ripristinati); il volume è tradotto da Claudia Zonghetti, che negli ultimi anni ha tanto lavorato per Adelphi (oltre a Grossman ha tradotto anche Anna Politkovskaja), ha ritradotto grandi classici per Einaudi, e contribuito allo sbarco in Italia, per Salani, di una voce sorprendente, come quella di Guzel’ Jachina.
Sul campo e attuale
La sconcertante attualità di Vasilij Grossman torna anche fra le pagine de Il popolo è immortale. La guerra, da sempre, fin da Tolstoj e Babel, è materiale incandescente per chi scrive, e per chi scrive in Russia, specie per chi come Grossman era reporter sul campo (consigliata la biografia edita da Marietti, Le ossa di Berdičev”, di John e Carol Garrard, ne abbiamo scritto qui). Rispetto a Vita e destino e a Stalingrado, Il popolo è immortale è un’opera decisamente più breve e autonoma, meno complessa, con qualche passaggio di grande lirismo, con la cronaca cruda e spietata degli orrori della guerra, ma che rischia di apparire “solo” un’opera di propaganda in chiave anti-nazista, una storia patriottica e nulla più.
«Hitler» aveva detto a Bogarëv «non ha creato valori nazionali, Hitler è un usurpatore. Ha usurpato l’operosità e la cultura industriale del popolo tedesco come un bandito ignorante che ha rubato la magnifca automobile costruita da un ingegnere esperto». «Non succederà! » pensava Bogarëv. «Mai e poi mai riusciranno a sconfiggere il nostro paese. Saranno anche precisi nel calcolo delle minuzie e dei particolari, o matematici in ogni loro movimento, ma non hanno la più pallida idea di ciò che davvero conta, e dunque tanto peggiore sarà la catastrofe che li attende. Pianificano le minuzie e i particolari, ma pensano solo in due dimensioni. Sono artigiani metodici. Uomini di bassi istinti e di convenienza spiccia, non capiscono e non possono capire le leggi del moto storico nel contesto della guerra che loro stessi hanno scatenato».
L’estate del ’41
Il vestito ideologico-patriottico del libro è nell’ordine delle cose, ma non è così semplice, ci sono sfumature, manca la faziosità, non si omettono sbavature, ingenuità ed errori di coloro che inizialmente soccombono per l’attacco degli invasori. Pubblicato circa un anno dopo gli eventi bellici raccontati, questo romanzo evoca l’estate del ’41, drammatica per i russi, con pesantissime perdite a causa dell’avanzata dei tedeschi. La “telecamera” del narratore è fissa su un battaglione di truppe russe circondate ma che, nonostante ciò, provano a sfondare le linee nemiche, ad aggirare l’accerchiamento.
Cronista dell’umanità e della disumanità
Civili, soldati semplici, ufficiali. Molti in fuga per salvarsi la vita. E, accanto ai personaggi più ricorrenti – su tutti Bogarëv, già docente universitario prima d’essere commissario di battaglione, per molti versi alter ego dell’autore – ce ne sono tanti altri la cui vita è evocata in poche efficacissime righe, uno dei marchi di fabbrica di Vasilij Grossman, già ingegnere chimico, poi cronista dell’umanità e della disumanità, che strada facendo s’accorse come il comunismo in salsa sovietica, anche quello post-stalinista, non differiva troppo dal nazismo. Il popolo è immortale è comunque un tassello indispensabile, che prepara le opere maggiori, e aiuta a comprendere quell’affresco che è la prosa di Grossman, dinanzi alle atrocità. È il trionfo dell’epica della resistenza sovietica, quest’opera di Grossman, non senza eccezioni, qualche tradimento, qualche delazione, qualche frase disfattista, e perfino critiche, del severo e riflessivo Bogarëv ad esempio, alla disorganizzazione tattica in seno allo stesso fronte sovietico, “spezzoni” che la zelante censura aveva cassato ma nella nuovissima edizione… saltano agli occhi.
Azione, tensione, dramma
Non mancano azione e bombardamenti, gambe mozzate e tensione pura, coraggio e paura, non manca, come in ogni guerra, il dramma dei civili. Non manca la tempra di una scrittura possente, classica, con un passo inesorabile. Vasilij Grossman è implacabile nell’allestire un teatro bellico concretissimo, in cui convivono eroi, teste pensanti, carne da macello, braccianti, donnaioli, cuochi col gusto dell’ironia (le bombe che non accennano a diminuire influiranno sulla cottura di certi gnocchi…). Non dissidente ma critico, non spavaldo ma neanche remissivo, il testimone Vasilij Grossman conferma la sua grandezza in questo suo primo tentativo letterario. Indica la strada a se stesso, fa rimbombare il Novecento, come pochi altri, nei nostri occhi e nelle nostre menti.
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