Romanzo d’avventura che sfocia nell’onirico, per il debuttante Lucio Di Cicco, è “Vita avventurosa di un’acciuga cantabrica”. Si rifà a una gloriosa tradizione e non sfigura affatto. Protagonista un uomo prossimo a essere giustiziato che racconta la sua mirabolante esistenza al boia. Un romanzo scritto con grazia, ironia e passione
Dietro il “monumento” Annie Ernaux, da sempre fiore all’occhiello della casa editrice L’Orma, e immaginiamo anche primo sostegno sul fronte economico, c’è un lavoro di qualità che non passa inosservato e c’è una collana, I Trabucchi, che merita attenzione, dedicata ai narratori italiani, che ha già ospitato libri preziosi, si pensi a Il cannocchiale del tenente Dumont di Marino Magliani (ne abbiamo scritto qui) o Notturno di Gibilterra di Gennaro Serio (ne abbiamo scritto qui). E adesso un sorprendente e pirotecnico romanzo si aggiunge alla serie. L’ha scritto un ferroviere in pensione, l’umbro Lucio Di Cicco, ed è un debutto tardivo che profuma di mare, di avventure, di peripezie, fra manoscritti perduti e linee d’ombra. Una storia vergata con passione, ironia e grazia, una storia di mare, di libertà e destino, il lungo racconto di un condannato a morte, Vita avventurosa di un’acciuga cantabrica (172 pagine, 18 euro).
Sette mari e mille donne
Dopo un pasto abbondante e a tre ore dall’esecuzione, Giovanni, che ha vissuto mille vite, prova a raccontarle, se non tutte, almeno le principali, al boia che lo ucciderà. Quasi per allontanare la morte.
Io ero stato pescatore ma con le reti degli altri; ero stato contrabbandiere, ma con poco guadagno e troppo rischio; ero stato fornaio, ma senza amore per la terraferma; ero stato marito e padre, ma senza amore per la famiglia; e infine erio stato cannoniere su una nave da guerra, rimediando, però, solo molte busse, poco mangiare e niente paga.
Sono entrambi a bordo di una fregata, la Capitan Cerano, nel bel mezzo di un oceano. C’è abbondanza di picaresco nelle vicende che Lucio Di Cicco sciorina con scioltezza e felicità narrativa. Un racconto scanzonato e pieno di coincidenze che fa tornare alla mente certe letture sudamericane di gioventù. Dall’Adriatico a Genova e poi in mezza Europa e non solo, dall’estremo Oriente alla Patagonia, Giovanni è un eroe da sette mari e mille donne, per l’esattezza «schiavo di tutte le femmine del mondo», alcune sposate e poi abbandonate, come i figli.
Cantastorie sgangherato e spudorato
Non si erge mai, Giovanni, a personaggio esemplare, a modello di vita, tutt’altro, è una spudorata canaglia fin da ragazzino, che non spicca per buoni sentimenti e lo ammette con gran sincerità. Improbabile e sgangherato, sempre però dalla parte dei più deboli e dei più poveri (c’è chi gli pronostica un futuro da novello Giovanni Battista), non può comunque non attirarsi le simpatie di chi lo scopre, capitolo dopo capitolo. E molti suoi compagni di viaggio non sono da meno, improponibili nel migliore dei casi. Per tutti loro il richiamo del mare è una calamita assoluta, per Giovanni ancora di più, tanto da innamorarsi di Alice, tipico nome da acciuga del mar Cantabrico. Ed è qui che l’anima onirica del racconto prende il sopravvento sul divertimento per umanissime disavventure narrate con una lingua vivace e dettagliata, e con un piglio affabulatorio ormai raro. Un cantastorie che riflette l’anima di tanti personaggi letterari e mitologici. Tra le righe impossibile non pensare al molto impegnativo nome e nume di Conrad. Però Lucio Di Cicco dimostra di non sfigurare in nessun momento in confronto a tutta una luminosa tradizione.
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