Videointervista a Simona Baldelli, a partire dal suo più recente romanzo “Il pozzo delle bambole”. Protagonista un’orfana, poi operaia in una manifattura tabacchi di Lanciano, in cui andò in scena una storica protesta nel 1968. “Una persona che ha una propria autonomia lavorativa – osserva l’autrice – è una persona non ricattata. Mi interessava una storia che fosse ambientata nel periodo in cui le persone avessero la certezza di avere a loro disposizione l’universo intero. A vent’anni nel Sessantotto si aveva la sensazione di poter fare e diventare qualsiasi cosa…”
Da una decina di anni Simona Baldelli, rivelatasi al Premio Calvino, puntella di belle e significative storie i cataloghi delle case editrici per cui pubblica. Negli ultimi anni quello di Sellerio, che ha proposto anche il suo più recente romanzo, Il pozzo delle bambole (420 pagine, 16 euro). Protagonista l’Italia del dopoguerra e, in particolare, Nina, che conosciamo come giovanissima ospite di un orfanotrofio e ritroviamo come operaia in una manifattura tabacchi. «Un romanzo ispirato da un episodio realmente accaduto che è l’occupazione della manifattura di Lanciano da parte di 650 tabacchine fra il maggio e il giugno del 1968. Fecero il Sessantotto senza saperlo. Allora in tutto il mondo si parlò di queste indomite tabacchine di Lanciano, ma in Italia è un episodio presocchè sconosciuto, tranne che nella zona dove vivono ancora oggi i loro figli e nipoti».
Nina è una delle tante figure ai margini che Simona Baldelli ama narrare, figure che in qualche modo sono fra loro collegate, anzitutto dallo sguardo dell’autrice. La lotta per la sopravvivenza e per i diritti portata avanti da Nina e dalle sue colleghe è quasi… inconsapevole. «La coscienza di sé come individuo – osserva – e del proprio ruolo all’interno della società sono cose che possono arrivare soltanto quando sappiamo chi siamo e cominciamo ad avanzare dei sogni, delle richieste. La cosa che mi interessa quando scrivo romanzi diciamo storici o ambientati molto apparentemente lontano nel tempo è cercare sempre una corrispondenza con il presente, se non trovo un’eco nella quotidianità la storia non mi interessa. In questo caso, ad esempio, era di lavoro che volevo parlare, soprattutto di un lavoro che è libertà, che è la nostra unica chiave per non essere ricattabili, per non essere strumentalizzati da nessuno, una persona che ha una propria autonomia lavorativa è una persona non ricattata. Mi interessava particolarmente una storia che fosse ambientata nel periodo in cui le persone avessero la certezza di poter allungare la mano e di avere a loro disposizione l’universo intero, un orizzonte sterminato. Chi aveva vent’anni nel Sessantotto credo avesse davvero la sensazione di poter fare e diventare qualsiasi cosa…».
Qui la videointervista integrale, buona visione