Elisabetta Giromini, quell’amore nell’Iran in subbuglio

Un’archeologa italiana a Persepoli e l’amore per un ragazzo iraniano nel romanzo di Elisabetta Giromini, “Centomila tulipani”. Una relazione in due tempi, interrotta dalla repressione del Movimento Verde nel 2009. Una debuttante a cui dar credito per intreccio, analisi e implicito messaggio politico

Se credete alla letteratura che dà lenti di ingrandimento, interpretazioni e punti di vista sulla strettissima attualità, c’è in giro un romanzone che entra nel cuore dell’Iran, stato teocratico sempre al centro di quel che succede o non succede in Medioriente. È un libro scritto con piglio autorevole – nel senso che l’autrice sa di quello che parla, vive da tempo all’estero e ha viaggiato moltissimo – e con sentimento. Un mix raro, da apprezzare e da godersi. Elisabetta Giromini, che per mestiere scrive e gestisce progetti internazionali di ricerca, debutta per l’editore Morellini, con il romanzo Centomila tulipani (378 pagine, 20 euro). Ed è un’esordiente a cui i lettori devono dare credito, per la sagacia e la sapienza dell’intreccio, per l’analisi della complessità dei rapporti umani in generale e della società persiana, delle tensioni in Iran, specie quelle che covano sotto la cenere.

Brogli e rivolta sedata

La dedica del romanzo è una stella polare: «Agli incontri e alle lontananze. Al desiderio di riscatto. Alla libertà». C’è un prima e un dopo in Centomila tulipani, in cui Elisabetta Giromini immagina una storia d’amore che resta per anni in stand-by, prima e dopo una storica mobilitazione di dissenso nel paese degli ayotallah, contro un regime repressivo e oscurantista, il cosiddetto Movimento Verde, sceso in piazza nel giugno 2009: la causa scatenante era rappresentata dai probabili brogli elettorali che portarono alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad, la guida suprema Ali Khamenei portò avanti sommariamente un’inchiesta sulle presunte irregolarità, ma dopo qualche giorno scatenò la repressione violenta della protesta. Una missione archeologica galeotta, uno stage di sei settimane a Persepoli, fa cadere nelle rispettive braccia l’italiana Daria Ricci e l’iraniano Payam, studenti che vivono un sentimento fortissimo, ma interrotto proprio dagli scontri durante la repressione del movimento verde. Daria rientra in Italia senza sapere della sorte dell’amato, approfondisce gli studi di archeologia, combatte con i demoni della sua vita (l’essere cresciuta senza padre, in primis, andato via di casa quando lei era troppo piccola) e non smette di pensare a Payam. Inevitabile, nel 2015, il ritorno di Daria in Iran, a Teheran, ma la relazione che torna ad accendersi fa i conti con l’inconciliabilità di culture e mondi diversi. E non è detto che il potere dell’amore abbia il sopravvento. In questo “secondo tempo” la narrazione non è più in terza persona, ma in prima (l’escamotage narrativo è un registratore…) e c’è uno scarto netto ed evidente fra la giovanissima Daria, imbevuta di ideali, e quella più matura, forse più pragmatica.

L’equilibrio

Elisabetta Giromini non si risparmia e non risparmia, in Centomila tulipani, l’alternarsi di vividi spaccati di violenza quotidiana, di libertà negata soprattutto alle donne, con il miele del sentimento. Non ci sono cedimenti estremi in un senso o in un altro, il romanzo non è propriamente politico, ma implicitamente sì, e regge perché mantiene un equilibrio, non scade mai nel truce e nel cruento, come pure nello sdolcinato. Il risultato è un congegno narrativo che funziona e che appassiona, grazie ai luoghi raccontati, a personaggi, specie i due protagonisti, che hanno profondità psicologica e aderenza alla vita vera.

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