Katerina Gordeeva, sul fronte ucraino russo né amore né odio

C’è carne, sangue e dolore nelle dolenti testimonianze raccolte nei campi profughi del conflitto ucraino russo, che compongono “Oltre la soglia del dolore” di Katerina Gordeeva. Voci di speranza e rassegnazione, da dove forse non c’è più posto per i sentimenti. Un libro con un’investitura di peso, quella di Svetlana Aleksievic

Ci vorrà del tempo per capire se si tratta di un volume destinato a segnare un’epoca, qualche indizio però c’è. Di giornaliste e attiviste capaci e profonde, come la russa Katerina Gordeeva, classe 1977, in giro ce ne sono una manciata e non di più. È cristallina e onesta la sua capacità di affondare lo sguardo in una delle più grandi tragedie dell’umanità degli ultimi decenni. E come se non bastasse, tra le pagine introduttive del suo libro, ce ne sono due che suonano come un’investitura, ovvero quelle firmate dal Nobel Svetlana Aleksievic. Autrice di grandi documentari giornalistici alla tv russa già da una ventina d’anni, Katerina Gordeeva in Italia ha avuto una certa visibilità presso il grande pubblico al recente Salone del Libro di Torino. La sua fama, però, la precedeva, da anni giornalista indipendente, pluripremiata (uno dei riconoscimenti più recenti e ambiti è quello intitolato ad Anna Politkovskaja), con un proprio seguitissimo canale YouTube, Katerina Gordeeva ha parole e pensieri profondissimi nel proprio repertorio, amplificati dalle voci setacciate all’inferno.

Resoconti che lacerano

La casa editrice 21lettere ha scommesso sul suo Oltre la soglia del dolore. 24 voci ucraine e russe, per chi sa ascoltare (412 pagine, 19,50 euro), tradotto da Mario Caramitti. Una lettura non semplice, che segna, che scava un solco, perché l’invasione russa di ormai oltre due anni fa e il fuoco della guerra che ne è seguito non sono show televisivi conditi da summit internazionali, appelli, dibattiti; c’è carne, sangue e dolore dietro i resoconti che stancamente arrivano dal fronte attraverso i mass media più diffusi; ci sono bombe, missili, orfani, morti e feriti dietro le notizie standard, tutte uguali, che si leggono sul web o si ascoltano alla radio e alla tv. In questo libro crudo e straziante l’autrice accosta una doppia dozzina di storie, documenti vivi, parole forti, resoconti dai centri d’accoglienza per profughi, che lacerano, e che ci spiegano perché sul fronte fra Ucraina e Russia, e su entrambe le fazioni non sembra più esserci alcuno spazio né per l’odio né per l’amore. Restano pochissimi sprazzi di umanità e civiltà.

Le voci dalla barbarie

In me non c’è amore, neppure una goccia. Non c’è neanche odio, quello che forse mi sorprende di più. Solo una grande stanchezza.

Sono le parole di Raja, insegnante di letteratura russa, che ha da poco partorito una bimba, e non sa se la ama o meno. In guerra ha perduto il marito e un’altra figlia, da un momento all’altro. È solo una delle tante storie d’orrore, che non risparmiano nessuna delle due parti, perché la guerra non insegna niente a nessuno. Lutti, mutilazioni, stupri, bimbi senza più infanzia, forse senza futuro. Katerina Gordeeva si muove in bilico, malvista sia dagli ucraini che dai suoi connazionali, molti imbevuti di propaganda putiniana, convinti, come Galina, che si debba “denazificare” l’Ucraina. Sono uomini e donne in fuga a parlare, uomini e donne che non vedono vie d’uscita. C’è Inga, sotto schock per non essere stata capace di salvare il proprio figlio. C’è Tanja, psicologa russa emigrata a Lodz, in Polonia, da una decina d’anni. Andata via per vergogna, per salvare briciole di dignità, i russi, sostiene, «per conservare la loro zona di comfort erano pronti a nascondere la testa sotto la sabbia. Si tratta di una psicosi silente estesa a una nazione intera. E io non volevo esserne compartecipe»

Nessun censura

Non censura nulla, Katerina Gordeeva. Ci sono anche voci dissonanti, figlie della propaganda. L’ex soldato Saša, per esempio, ha perso una gamba nel Donbass nelle ostilità precedenti al 2022, qualche anno prima di andare in pensione. Alcune sue frasi? «… il nemico voleva distruggere il nostro impero. Noi dobbiamo sacrificare la vita per sconfiggere la Patria», «Noi contro tutto il mondo. Ci odiano di brutto a noi, ma perché? Che gli abbiamo fatto?», «Nella vita è sempre così: o lo fai o te lo fanno. Se non avessimo cominciato noi, avrebbero cominciato loro». La sofferenza sconvolgente accomuna le dolenti testimonianze delle donne e degli uomini interpellati – ucraini, russi, russofoni dei confini contesi – si alternano speranza e rassegnazione, quasi in egual misura, tra aggrediti e aggressori.

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