La dipendenza non è amore, Alice Urciolo si riconferma

Dopo il folgorante “Adorazione” non è da meno il secondo romanzo di Alice Urciolo, “La verità che ci riguarda”. Un amore che ha più a che fare con la manipolazione e un culto religioso distorto si intrecciano alla dissoluzione di una famiglia…

Un’adolescente che racconta in prima persona ed è in cerca di amore, Milena Cervi, col sesso come traguardo ossessivo e il cibo come nemico, in lotta con i disturbi alimentari. Una donna, Angelica, la madre della ragazza, che finisce per essere invischiata nel vortice “tranquillizzante” di una setta, la Chiesa della Verità, fondata da Tiziano Valentini, un santo o un imbroglione, a seconda dei punti di vista, a capo di una realtà che va avanti solo grazie a donazioni. Due malattie, due dipendenze, due inganni e dolori che sono una specie di eredità emotiva inconsapevole, traumi, gabbie, sottomissioni e soggezioni che hanno meccanismi analoghi, spiegazioni e dinamiche… genetiche. La più giovane finisce fra le grinfie di un compagno decisamente più maturo e manipolatore. La più matura nella morsa di un culto distorto. Sono le coordinate entro cui, tra Roma e la Ciociaria, si muove il secondo romanzo di Alice Urciolo, La verità che ci riguarda (256 pagine, 18 euro), ancora per la casa editrice 66thand2nd, come il primo, di successo, Adorazione, che era stato candidato al premio Strega da un certo Daniele Mencarelli. Un libro che, rispetto a quello di debutto, ha il pregio di essere più diretto e accessibile, riuscendo a scavare con intatta mano felice nelle profondità dei rapporti umani, di titubanze e insicurezze, di instabili scarti sentimentali, di ripensamenti. Un volume che va a caccia di corrispondenze, specie negli sbagli dei figli che talvolta possono sembrare molto simili a quelli commessi dai genitori. Ci sono pagine in cui è facile perdersi, specchiarsi così da vicino da rischiare di caderci dentro…

Balzi temporali, temi attuali

È impossibile guarire da una cosa che non riconosci come una malattia.

A sostenerlo non è la figlia, non è la madre, ma Sesa Vellucci, una figura minore, se non fosse che in questa frase passano molti significati del romanzo. Il possesso non è amore, non lo è la manipolazione, e nemmeno la sottomissione o l’isolamento. Sembra una banalità, ma la società in cui siamo immersi e le insanguinate cronache con cui facciamo quotidianamente i conti dimostrano che così non è, che alla base delle vite di molti c’è un vuoto bello e buono, un’educazione ai sentimenti, al rispetto, alla gentilezza, all’amore da dare e da ricevere. Questo è il senso più profondo del nuovo lavoro di Alice Urciolo, che è anche sceneggiatrice e sa far valere la scioltezza e l’accuratezza della sua prosa per catturare chi legge, ripercorrendo il passato con balzi temporali, e affrontando temi attualissimi, su tutti aborto e gravidanze indesiderate.

Domande e dubbi

Il nucleo originario del discorso sulla dipendenza che porta avanti Alice Urciolo è da rintracciare anche, è la stessa autrice ad averlo dichiarato più di una volta, nel sentimento di dipendenza di Franz Kafka per la sua Milena, come si evince dalle lettere di un magnifico epistolario, fra i più appassionanti di sempre. Come appassionante è la confessione, puntellata da qualche dialogo che, di fatto costituisce La verità che ci riguarda. Una vicenda che finisce per essere anche quella del disintegrarsi di un nucleo familiare, quello di origine di Milena, che nel suo percorso personale proverà a coltivare una vita diversa, dalla provincia a Roma, forse invano… Interrogativi, ragnatele, dubbi. Quando si fa i conti con tante considerazioni, in fondo a un libro, è un bel segnale. Contano più le domande che le risposte: queste ultime non sono certo universali, ma decisamente individuali…

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