L’eterna lotta fra le convenzioni e l’aspirazione a voler essere altro da ciò che un mondo fatto a immagine del maschio vuole imporre alle donne. È nelle pagine di “Come non educare le fanciulle” di Resede Ferioli, operazione narrativa generosa, seppure a tratti incerta
Chi si aspetta un romanzo si troverà spiazzato da questa operazione narrativa, che scardina completamente le regole del racconto classico per divenire novella storica (una serie di novelle, in realtà), seppur apertamente e palesemente romanzata.
Come non educare le fanciulle (in un mondo a misura di maschio) (231 pagine, 17 euro), scritto da Resede Ferioli per Edizioni Le Lucerne, va preso per ciò che è e per quello che vuole rappresentare, una storia di riscatto, al di là della verosimiglianza storica. Rosaria, la protagonista del romanzo, custodisce, nel grembo della sua anima e fra le pieghe dei suoi giorni stanchi ma fieri, il fiore rosso della lotta per i diritti di un sesso che debole non è stato mai, ma oppresso e vessato purtroppo sì. L’autrice parla alle coscienze, oltre i confini rigidi della nostra Ragion Pura, per citare Kant, che appartiene ad altro lontanissimo orizzonte filosofico-letterario, da cui dobbiamo allontanarci per riuscire a comprendere appieno l’intento generoso – seppur a tratti incerto – di questo libro.
C’è ancora domani
Impossibile non citare il capolavoro della Cortellesi, non solo per una questione di ambientazione cronologicamente similare, ma perché si ritrova nel libro della Ferioli la stessa volontà, resa magistralmente nel film, di rievocare con delicatezza e tanta ironia un passato, ancora troppo recente, in cui essere donna era un affare veramente complicato, perché oscillava fra desiderio di emancipazione e atavico senso di colpa. Per millenni, senza distinzione fra culture per altri versi differenti, la maternità da dono straordinario spesso veniva trasformata in una gabbia (quasi mai dorata, fra l’altro) in un mondo a misura di maschio. L’oggettiva necessità di accudimento del cucciolo d’uomo da parte della madre si è pietrificata in ruoli fino a poco tempo fa cristallizzati, investendo qualunque ambito, familiare, sociale, lavorativo, creando uno spartiacque che a tutt’oggi lega le donne a forme sottili di tacita sottomissione.
Volutamente non sposto la mia attenzione dall’ambito dei paesi occidentali, perché porto ancora nel cuore la sensazione di totale impotenza e di enorme indignazione che provai leggendo Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, dove ad ogni pagina, insieme a un pugno allo stomaco, giungeva un senso di vergogna per tutti i delitti silenziosi compiuti da quell’animale razionale che dovrebbe essere l’uomo.
Ciò che la Ferioli sottolinea è proprio il fatto che, seppur pagando un prezzo altissimo, in Italia il treno dell’emancipazione femminile è comunque partito, anche se nel libro è presente un tacito richiamo a non considerare conclusa questa corsa per un riscatto troppo recente e soprattutto decisamente ancora zoppicante.
Casa di bambola
Tenendo ben presente che il capolavoro di Ibsen non possa essere accostato, né stilisticamente né sul versante degli intrecci narrativi, a Come non educare le fanciulle, eppure qualcosa della protagonista del romanzo di Resede Ferioli mi ha ricordato Nora e il suo travaglio interiore, ampiamente accompagnato dal senso di colpa connaturato al solo fatto di essere nata donna, che Ibsen descrive attraverso un’ampia introspezione psicologica.
Rosaria in realtà non è una sola donna, rappresenta un archetipo, l’eterna lotta fra le convenzioni sociali e la sacrosanta aspirazione a voler essere altro da ciò che un mondo fatto a immagine e somiglianza del maschio continua a voler, in mille modi diversi, imporre alle donne.
Come non educare le fanciulle (in un mondo a misura di maschio) è un monito per le giovani generazioni, perché è un dovere civile ricordare la frustrazione, le battaglie, i sogni infranti, i rospi ingoiati insieme al pane, di generazioni di donne che hanno combattuto affinché altre donne oggi (ancora ahimè sempre troppo poche) potessero sentirsi libere di coltivare progetti e di cercare di realizzarli.
Privare un essere umano della poetica bellezza di inseguire il colorato arcobaleno delle proprie aspirazioni equivale a un crimine perpetrato contro l’Avvenire.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”
Seguici su Facebook, Twitter, Instagram, Telegram, WhatsApp, Threads e YouTube. Grazie