Un’indagine su una morte annunciata di oltre settant’anni fa costituisce il terzo romanzo di Salvatore Maira, “Topografia di un delitto”. Al centro della scena l’omicidio impunito di un sindacalista di Sciacca, Accursio Miraglia, difensore dei diritti dei contadini e delle associazioni di braccianti. Un assassinio maturato in un chiaro clima generale, a livello regionale e nazionale, in cui figure e movimenti reazionari provano a ribaltare il faticoso ordine democratico dell’Italia nell’immediato dopoguerra. Un crimine collegato anche alla Strage di Portella della Ginestra, con la lugubre presenza da protagonisti di varie eminenze nerissime, ex fascisti riciclatisi nelle istituzioni e nelle forze di polizia, di polizie, di aristocratici, monarchici
Valente regista e sceneggiatore che ha accantonato da qualche anno i progetti cinematografici, il siciliano Salvatore Maira – classe 1947, originario di San Cataldo, nel Nisseno – è uno dei segreti più belli e meglio nascosti del catalogo Bompiani (fedele, non è fra quelli che ha traslocato alla Nave di Teseo), con tre romanzi molto diversi fra loro, ma tutti benedetti dalla grazia dell’affabulazione, incalzanti, trascinanti, a cui concorrono storia, politica e vicende di immortale attualità, sebbene non siano necessariamente ambientati nel presente. Otto anni fa, debuttante non di primo pelo aveva regalato un esordio folgorante, Diecimila muli, picaresco e fluviale. Poi era stata la volta di Ero straniero – storia di un’amicizia fra un siciliano e un africano, fratelli di indigenza e di lavori malpagati, ai margini delle mille luci di Milano – ovvero la conferma che il libro con cui Salvatore Maira si era svelato al grande pubblico non era un fuoco fatuo, ma solo il primo passo di un autore strutturato e abilissimo.
Aprire gli occhi
La nuova avventura editoriale di Salvatore Maira, sempre sotto le insegne di Bompiani, può fare aprire gli occhi a molti. Non fatevi abbagliare dalle paillettes, dai presunti grandi nomi della stagione, non fidatevi eccessivamente dei premi, lasciate stare il battage pubblicitario di questo o di quel volume, le sirene che arrivano dai social, l’insistente soffermarsi di quella influencer su quella copertina, le certezze di quel maître à penser su quell’altro titolo, non date troppa retta a certi social media manager. Il nuovo romanzo, Topografia di un delitto (273 pagine, 18 euro), si nutre di sentimenti e documenti, giornali e testimonianze, una dozzina di pagine di note fitte, e ci mostra la Sicilia e l’Italia dell’immediato dopoguerra, che sembrano per nulla distanti dalla Sicilia e dall’Italia dei giorni nostri.
Il contesto
L’indagine sulla morte annunciata di Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro di Sciacca (Agrigento), ucciso il 4 gennaio 1947 – a pochi mesi dalle elezioni regionali vinte dal blocco di sinistra con oltre il 30 per cento dei consensi – è lo scheletro di questo romanzo. Un’indagine meticolosa, autorevole, che torna indietro di settant’anni, provando a rammendare buchi e vuoti, provando a fare giustizia, a spiegare un contesto storico e politico, nel quale maturò l’assassinio di uno strenuo difensore dei diritti dei contadini e delle organizzazioni dei braccianti, uno dei più noti fra i tantissimi sindacalisti trucidati all’epoca, crimini sempre impuniti. Nelle settimane precedenti al delitto, che sarebbe deflagrato come notizia di risonanza nazionale, Accursio Miraglia, turbato e addolorato, sentiva addosso il fiato del pericolo, avendo ricevuto minacce dirette e indirette. tanto da essere assistito e scortato da amici e sodali fin sulla soglia di casa. Anche nel giorno fatale. Salvatore Maira torna sui luoghi del delitto, interroga Nico Miraglia, figlio di Accursio, dialoga con Maria Rosa Miraglia («Mio padre è vivo nella mente di chi se lo merita»), altra figlia del sindacalista, oggi novantenne, ripercorre i passi di tanti protagonisti manifesti, e di altri nascosti, latenti. All’epoca si arrivò relativamente in fretta ai presunti esecutori e mandanti, che erano quasi di dominio pubblico, ma dietro la superficie c’era tanto altro.
… l’aristocrazia terriera in Sicilia si è rivolta alla mafia, al banditismo, al movimento indipendentista, ai neofascisti-monarchici e agli ex criminali di guerra per difendere le terre incolte dei suoi feudi che la riforma agraria pretenderebbe di assegnare ai contadini senza terra… Per l’aristocrazia terriera siciliana ogni forma di democrazia è comunismo. Radicato convincimento che condivide con i grandi industriali del nord, che in questo stesso periodo finanziano largamente il neofascismo golpista.
Un feroce ingranaggio, che torna….
C’è, scrive più avanti, Salvatore Maira – ed emerge dalla sua ricostruzione – una «struttura sociale formata da agrari, gabellotti e criminali che in Sicilia diventa classe di governo quando si salda con pezzi delle istituzioni». E ci sono eminenze grigie, anzi nerissime, che entrano in gioco nella storia quasi banale, quasi scontata, del signorotto che prova a difendere le proprie terre dalla riforma agraria e che, per farlo, si affida ai modi spicci del mafioso di turno. A confondere le acque, ad esempio, c’è una figura inquietante ed esemplare: l’ispettore generale di polizia Ettore Messana, alle dirette dipendenze del ministro dell’interno Mario Scelba, già questore a Lubiana (durante la violenta italianizzazione della Slovenia), per decisione diretta di Mussolini, carnefice e torturatore, segnalato al tribunale internazionale dell’Aia, eppure velocemente riciclatosi nella nuova Italia nata nel dopoguerra. Non esita a depistare, prova più volte a spostare l’attenzione. Ed è un ingranaggio di un racconto che si nutre di omissioni, confessioni, ritrattazioni, alibi veri, romanzeschi o proprio inattendibili. Un ingranaggio che ritorna periodicamente, per esempio coinvolto nella strage di Portella della Ginestra, il primo maggio 1947, miccia di una possibile guerra civile, a opera del bandito Salvatore Giuliano e dei suoi luogotenenti. Un’azione politica che «ha avuto un’incubazione di anni», come chiarisce Salvatore Maira unendo i… puntini di vari momenti eversivi nell’Italia post-fascista del dopoguerra. «La banda di Giuliano è uno squadrone della morte fascista», in cui tornano in scena Messana come «grande tessitore», agenti di Salò, agenti della Decima Mas, aristocratici, spie di estrema destra, uomini passati da centri di addestramento nazifascisti, criminali di guerra, provenienti da rigogliosi sottoboschi di associazioni più o meno clandestine di fascisti, nostalgici, monarchici.
Una benedizione
Cronaca, storia, epica, ricostruzione investigativa, «avvenimenti convulsi e stratificati», troppe connessioni per essere casuali, Topografia di un delitto di Salvatore Maira è una benedizione per l’attuale narrativa italiana. Sarebbe facile partecipare al giochino dei paragoni eccellenti con protagonisti della scena attuale o del passato, citando anche i grandi nomi siciliani del Novecento. È un tranello a cui non abboccare. L’analisi dell’autore di questo romanzo si fa magistrale: accanto alle azioni il pensiero illumina tutto, penetra in una delle tante lotte eterne della storia dell’uomo, una guerra senza tregue, senza atti ci clemenza, senza esclusione di colpi.
… se contadini, minatori, operai nel lottare contro la miseria e la fame introiettano il loro divenire corpo sociale e non si percepiscono più come ribelli per la sopravvivenza, i seminatori di queste idee, i piantatori di queste parole devono essere uccisi, perché allargano i confini del diritto alla proprietà che non può essere di tutti. Maledette parole: finché sono di pochi servono a ingannare, ma in mano a tutti possono anche illuminare. Per questo ad Accursio e agli altri capi contadini i latifondisti non potevano perdonare che i zappaterra accampassero la dignità morale come un loro diritto.
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