Jean Cayrol, uno che si ignora e che rinasce dopo il lager

Il difficile ritorno alla vita, la ricerca di un nuovo posto del mondo, il riappropriarsi di un’identità dopo la tragica esperienza del lager è al centro della trilogia di Jean Cayrol, “Vivrò l’amore degli altri”, di cui torna in libreria la prima parte, “Lasciatelo parlare”

Scomparso nel 2005, ultranovantenne, Jean Cayrol è stato uomo di cultura in varie direzioni, membro dell’Académie Goncourt, e sono in tanti a vedere nelle sue opere da scrittore i primi vagiti del Nouveau Roman, oltre che un’affinità con l’esistenzialismo. Non abbastanza impegnato, non abbastanza alla moda o di successo. La sua figura non è riuscita a emergere, a distanza di decenni, fra quelli di primo piano, in Francia. A torto. Fu anche un formidabile talent-scout, Jean Cayrol, da direttore editoriale di una importante casa francese come Seuil, fu lui, ad esempio a lanciare Roland Barthes, astro nascente che aveva bisogno di qualcuno che credesse in lui. Alle origini di Jean Cayrol ci fu la partecipazione alla Resistenza, la cattura e la deportazione nel campo di Mauthausen, da cui riuscì a salvarsi, ma che segnò la sua esistenza. La casa editrice Marietti 1820 manda in libreria Lasciatelo parlare (180 pagine, 19 euro), primo volume di una trilogia intitolata Vivrò l’amore degli altri, che fu composta e pubblicata tra il 1946 e il 1950: un libro (con un piccolo saggio di Roland Barthes proprio in coda) tra i più devastanti e importanti della letteratura concentrazionaria, che i lettori italiani meritano di conoscere, un libro da leggere per stupirsi della sua tempra umana e artistica; un volume che rinasce nell’originaria traduzione di Valeria Pompejano (autrice anche di una prefazione esaustiva), che era stata pubblicata da Nonostante edizioni, sigla triestina.

La resurrezione del sopravvissuto

Eppure l’abisso di Mauthausen non è subito così chiaro, leggendo Lasciatelo parlare. Non una memoria, non una storia verosimile, non una testimonianza. Jean Cayrol più che l’annientamento racconta il ritorno alla vita, la resurrezione del sopravvissuto, gli incontri attraverso cui si riappropria di un’identità, torna a far pratica della vita, si addestra alle parole, alla socialità. È un percorso a ostacoli, doloroso, un corpo a corpo con un disagio evidente, insito nell’anima di chi dice “io” nel libro.

Lo so, vivo in perdita da troppo tempo. Non abbiate timori, non voglio scusarmi. Sono innocuo quanto una mosca o una lucertola. Sono uno che si ignora.

Imparare di nuovo

Per raccontare questa rinascita Jean Cayrol escogita come una scrittura in divenire, in presa diretta. E solo a pagina 109 la voce narrante esce allo scoperto.

Sì, sono deportato. Mi hanno preso durante una retata mentre ero in fila al cinema, una sera d’estate in cui tutti vi stanno accanto senza chiedere nulla in cambio, cani, passanti, una donna. In cui si sta bene soltanto in mezzo agli altri.

È un’ipotesi di vita, quella che cerca il protagonista, senza indugiare nell’orrore, senza riflessioni storiche («Per i dettagli si vedano i libri apparsi sulle deportazioni: lì sarà spiegato meglio»): è come un innocente che impara, o impara di nuovo, a vivere, a colorare il mondo bianco in cui vive, a riadattarsi ai ritmi dell’esistenza, a descrivere chiunque e qualsiasi cosa veda. Tenta così di riappropriarsi di un posto nel mondo, con un finale, in questo primo dei tre volumi, di speranza…

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