Roy Chen, il teatro farmaco nel centro di salute mentale

Non solo romanziere, ma valentissimo drammaturgo l’israeliano Roy Chen. Il suo “Chi come me” è un atto d’amore nei confronti del teatro, del suo impatto sulla vita quotidiana, della sua inclusività. Protagonisti cinque giovani ospiti di un istituto psichiatrico, il medico che li ha in cura e un’insegnante che li avvia a un corso di recitazione, riuscendo a tirar fuori la loro umanità, portandoli a prendere coscienza sì delle loro paure ma anche dei loro talenti

Tenerezza e dolore per un testo teatrale che parla di teatro come medicina, specie per la salute mentale dei più giovani. Un piccolo miracolo che riesce a uno scrittore israeliano che in Italia si è fatto apprezzare per un magnifico romanzo, ma che lascia il segno anche come drammaturgo. Roy Chen, già autore di Anime (ne abbiamo scritto qui) per la casa editrice Giuntina, ha pubblicato anche Chi come me (114 pagine, 12 euro), sempre per la raffinata sigla fiorentina, con la traduzione di Shulim Vogelmann (qui sette suoi consigli di lettura sul nostro sito).

Dissipare incubi, iniziare a comprendersi

È un’opera teatrale che è stata da poco rappresentata in Italia e che lascia il segno per come, lucidamente, affronta un diffuso disagio giovanile, partendo da un centro di salute mentale per adolescenti, a Tel Aviv. Avvinti da paure, scetticismo e traumi alcuni ospiti (diversamente problematici) della struttura sono invitati a prendere parte a un corso di recitazione: per il dottor Yoresh, che li ha in cura, è una tappa importante in un percorso terapeutico di recupero. Non è del tutto una storia di fantasia, anzi, Roy Chen ha vissuto un’esperienza molto simile, che gli ha consentito di aiutare (dialogando, ascoltando, facendo recitare) e di aiutarsi, uno scambio reciproco; una terapia che riesce a dissipare incubi, che costruisce forme di rispetto verso se stessi e verso gli altri, immedesimarsi in chi ci sta accanto è il primo risultato di interpretare una parte su un palcoscenico; interpretare un ruolo, indossare una maschera è forse il modo migliore per regalarsi la libertà di riflettere ad alta voce, di non vergognarsi, di comprendere e comprendersi. Questo, fra le altre cose, sembra dirci Chi come me di Roy Chen.

E se a volte non riusciamo a curare la psiche, possiamo almeno prenderci un respiro profondo insieme.

Le colpe degli adulti

La pièce dell’autore israeliano è lastricata di empatia, di compassione, ma anche di ironia. Ed è l’amore per il teatro il motore di tutto. Lettore e spettatore troveranno, in Chi come me, cinque ragazzi con diagnosi diverse (dalla disforia di genere alla depressione, al disturbo ossessivo a quello bipolare, alla sindrome di Asperger) e qualcuno – Naamà, l’insegnante di teatro – che riesce a far emergere la loro umanità, in nome di una reciproca accettazione, di una presa di coscienza collettiva delle paure e delle qualità: è la strada dell’inclusione, della ricerca di salvezza, delle tare da fare diventare talenti. E anche di una certa contrapposizione al mondo adulto. Non fanno, ad esempio, una gran bella figura i genitori, maldestri, egoisti, quando non del tutto assenti.

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