È giunto il tempo di scoprire Antoinette Peské e il romanzo che scrisse, con lo pseudonimo Peské Marty, assieme al marito, “Qui il sentiero si perde”. Una scrittrice la cui unicità è stata sinonimo di grandezza e di condanna, l’ha costretta in un cono d’ombra. Nel suo romanzo «di amore e sangue», che risale agli anni Cinquanta, racconta dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che avrebbe inscenato la propria morte, per vivere fughe e passioni estreme…
«Vi ritroviamo la semplicità e l’arte delicata di alcuni poeti del sedicesimo secolo»: con una straordinaria intuizione, Apollinaire aveva capito che l’arte Antoinette Peské (1902-1985) era di un’altra epoca e per un altro tempo. Siamo nel 1914 e il poeta viene profondamente colpito dalle poesie della futura scrittrice, che, accompagnate da acquerelli, sono esposte alla Gelerie Malpel. «Non so cosa ne sarà dei suoi talenti, ma ad ogni modo oggi sono autentici», prosegue. Qualche anno dopo, a quanto pare, Apollinaire si impegnò a pubblicare quelle opere giovanili, ma l’influenza spagnola che lo portò alla morte gli impedì di onorare la promessa.
Narratrice precoce
Negli anni successivi, Antoinette Peské si dedicò alla narrativa e già a diciotto anni diede alle stampe il suo primo romanzo, L’Insaisissable rival (1924), poi riedito nel 2004 con il titolo Que cherches-tu?. Nel 1941 riuscì a pubblicare (con difficoltà e a sue spese), La Boîte en os, un romanzo dal sapore gotico che secondo Cocteau «non assomiglia a nessun altro». Ma questa unicità, che da un lato fa la sua grandezza, dall’altro è stata la sua condanna. La scrittura di Peské, infatti, sembra estranea alle principali tendenze dell’epoca. Sono gli anni di Sartre, Camus, Sarraute, de Beauvoir, Queneau, autori da cui la scrittura di Peské è molto lontana. Anche la varietà di temi e ambientazioni tra un romanzo e l’altro gioca a suo sfavore, in quanto la priva di un’identità forte e facilmente riconoscibile.
Una diceria che intrigò Tolstoj
Nel 1955 venne pubblicato per Gallimard Ici le chemin se perd, firmato a quattro mani con il marito, il giurista Pierre Marty (1896-1957), di cui sappiamo poco o nulla. Il romanzo esce adesso per Adelphi con il titolo Qui il sentiero si perde (446 pagine, 24 euro), nella traduzione di Daniele Petruccioli (non deve essere stata un’impresa semplice tradurre questo romanzo tortuoso e visionario). Ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
Un vagabondaggio e gli amori
Nel romanzo di Peské Marty, il desiderio dello zar di liberarsi della propria condizione e di fuggire dal mondo dà vita a una narrazione permeata di mistero, vorticosa, inebriante. Dopo quella presunta morte «che non era nell’ordine delle cose», comincia un vagabondaggio lungo quarant’anni, durante i quali il protagonista si trasforma in monaco, schiavo, mendicante, cercatore d’oro, discepolo di un Lama. Ma nemmeno «i cuori più induriti» possono resistere all’amore e la storia di quest’uomo che può mostrarsi violento e crudele è scandita proprio dalle sue passioni: quella per la giovane prostituta Sarasya, per il marinaio Ivan, per la zingara Manuzia. Amori sregolati, viscerali, abbacinanti e mortiferi, sempre animati da un progetto comune che in genere coincide con una nuova fuga: «del resto, esiste forse un amore durevole che non sia sostenuto da una comune impresa?».
Una nuova vita
Che accoglienza avrebbe potuto avere questo romanzo di «amore e sangue» nella Francia degli anni Cinquanta, conquistata, appena un anno prima, dal più rassicurante Bonjour tristesse di Françoise Sagan? Le poche recensioni furono elogiative ma non abbastanza da offrire a Peské e suo marito uno spazio sulla scena letteraria del tempo.
Oggi Qui il sentiero si perde gode, a buon diritto, del privilegio di una nuova vita. Più che di una riscoperta, però, è una vera e propria scoperta. Antoinette Peské, infatti, non può essere annoverata tra gli scrittori «dimenticati», giacché tra gli anni Quaranta e Cinquanta ebbe una notorietà molto limitata: per intenderci, il suo caso è molto diverso da quello di Némirovsky, nota al suo tempo e poi finita nell’oblio. Antoinette Peské, invece, fa parte di quella categoria di scrittori smarriti più che dimenticati, di quelli che restano all’ombra, fuori dai sentieri più battuti, almeno fino a quando, finalmente, arriva il loro tempo.
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