Vittima e spettatore di ingiustizie, l’impiegato August Esch è il personaggio centrale di “Esch o l’anarchia”, secondo volume della trilogia “I sonnambuli”, grande classico di Hermann Broch, amatissimo da Kundera e Canetti. Combattuto tra morale e vizi, inadeguato e frustrato, il protagonista è immerso in una società in preda all’anarchia, che non sa più distinguere cosa sia giusto e cosa sbagliato. E così finiscono per prevalere la disgregazione dei valori e il disorientamento dell’uomo…
Milan Kundera affermò che Broch fu uno dei più grandi scrittori del Novecento e che dalle sue opere fu ampiamente influenzata tutta la sua attività di romanziere.
Elias Canetti, che si affacciava sul palcoscenico della letteratura quando Broch era ormai già conosciuto ed affermato, strinse con lui un rapporto di stima e di frequentazione, dal cui frutto è nata l’affascinante postfazione allegata a questo libro, il secondo della trilogia de I sonnambuli, che ci regala un quadro più completo sulla personalità e il pensiero dell’autore austriaco.
Qualora non vi foste già convinti ad intraprendere la lettura de I sonnambuli dopo aver scomodato l’intervento di due come Kundera e Canetti, non vedo come potrei farlo io, ma considerato che il libro mi è stato gentilmente offerto per esporvi anche il mio di parere, mi appresto umilmente ad assolvere questo compito.
Una paradossale esistenza…
Con I sonnambuli Broch abbraccia tre fasce temporali che si distanziano di quindici anni le une dalle altre e in cui si serve ogni volta di un diverso protagonista per rappresentare il processo storico di una situazione sovraindividuale che egli definisce come “disgregazione dei valori”. Di fronte ad essa ogni protagonista assume atteggiamenti diversi ed ha diverse reazioni. Per questa ragione I sonnambuli è una trilogia slegata dal punto di vista della narrazione ma accomunata dal tema, dal forte impatto nichilista.
Il volume II. 1903 Esch o l’anarchia (274 pagine, 20 euro), traduzione di Ada Vigliani per Adelphi, è ambientato a Colonia e vede come protagonista August Esch, impiegato contabile nel commercio. Il libro si apre subito con un amaro accadimento: il suo licenziamento. Ma amaro sarà il sapore di tutto l’andamento della vita di Esch, perché il licenziamento è solo la prima delle grandi ingiustizie di cui sarà protagonista a volte, spettatore altre. Il suo datore Nentwig è implicato in loschi falsi in bilancio e quando lo licenzia, Esch sente il dovere morale di denunciare questi traffici. Ma se lo facesse non otterrebbe l’attestato di servizio utile per trovare un altro impiego. Così già dalle prime pagine veniamo a conoscenza della doppia personalità dell’uomo, sempre combattuto tra morale e vizi, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quello che deve per necessità fare e quello che vorrebbe fare per senso del dovere e dell’ordine. Ma di ordine nella vita di Esch ce n’è ben poco. Il caos che vede nel mondo e di cui lo accusa genera in lui contrasti talmente forti che lo portano a compiere gesti scellerati e sconsiderati che lo rendono partecipe, più che estraneo, a quel disordine. Se ne va da Colonia e prende servizio come contabile in una compagnia di navigazione. Ma quando scopre che anche quest’altro suo superiore è un bieco e ambiguo personaggio, che in combutta con la polizia ha ingiustamente fatto arrestare il suo amico sindacalista, Esch sbotta, si licenzia e torna a Colonia, dove prova ad avviare un’impresa teatrale, accompagnato e sorretto dal sogno di poter fuggire in America, il paese della giustizia, lasciandosi alle spalle tutto ciò che è ormai inesorabilmente corrotto.
Questa, così come le altre illusioni sulla base delle quali Esch agisce, lo fa apparire come un personaggio tragicomico. Procede a tentoni, sembra mosso da istinti invidiabili e nobili intenti e lui per primo crede fortemente di esserlo. Cerca costantemente di giustificare le sue mosse fallimentari e le bassezze compiute con la ricerca di un disegno superiore. Ma il risultato finale è confuso e disastroso, perché frutto della rabbia, sfogata da Esch con la rocambolesca alternanza tra lavori inconcludenti e rapporti incerti e ambigui con le donne che incontra.
La rabbia e il disgusto governano la vita e i pensieri di Esch, e derivano dal caos e dal disordine di una società in preda all’anarchia che non sa più distinguere cosa sia giusto e cosa sbagliato.
È sempre la solita cricca, pensava Esch fuori di sé dalla collera, la solita cricca di demagoghi, che vive ovunque nelle stesso disordine. No, non aveva alcuno scopo mettere in mano un’arma a questi piuttosto che a quelli; nelle loro mani quell’arma perde tutto il suo potere, perché nessuno sa la vera differenza tra l’una e l’altra parte.
… e le sue conseguenze sulla vita dell’uomo cosciente
Per quanto l ‘incoerenza delle sue azioni lo renda soggetto di una sorta di comica tenerezza agli occhi del lettore, in realtà sulle vicende di Esch c’è ben poco da ridere. Dietro di esse si cela un disperato bisogno di rivalsa. Dimentichiamoci per un momento di Esch-protagonista e decontestualizziamolo dal periodo storico in cui è inserito. Vediamolo solo come un uomo qualunque perfettamente cosciente dello scempio degenerativo cui la società sta andando incontro e le cui reazioni, derivate da un intimo contrasto interiore nel profondo subconscio della sua anima, spingendo per tornare in superficie si trasformano in rabbia. In questo potrebbe benissimo coincidere con un personaggio dostoevskiano del XIX secolo, richiamandoci alla mente proprio quello di Memorie del sottosuolo. Cambiano le epoche ma la follia che pervade i due uomini resta il punto cardine: essa scaturisce dalla consapevolezza di vivere in un mondo sempre più estraneo ai valori e alla morale. Il senso di inadeguatezza che ne deriva genera flussi di coscienza che sfociano in monologhi interiori densi di frustrazione, e le reazioni sono esagerate perché non trovano riscontro nel concreto.
Ma potrebbe benissimo anche essere il protagonista di un romanzo moderno poiché il processo storico della disgregazione dei valori è un tema quanto mai attuale e che trova ampio riscontro, se non forse il suo apice, nell’epoca presente. Lo squilibrio come reazione al decentramento e al crollo dell’assetto ordinario, con conseguente perdita di contatto e disorientamento dell’uomo, hanno fatto considerare ai posteri le opere di Broch come dei veri e propri capolavori di modernismo letterario.
Sonnambolica lucidità
Il conflitto di interessi morali che pervade il protagonista lo accompagnerà per tutto il romanzo. Questo contrasto è scaturito dalla delusione e conseguente disillusione che ha del mondo, e il suo senso di rispettabile integrità morale è sempre messo a dura prova dalla corruzione onnipresente. Esch sembra portare autonomamente e in modo solitario il peso di tutte le ingiustizie che incontra nella società e che lo inducono a compiere scelte avventate quasi per una sorta di dispetto e dissociazione. Pensa e agisce come se da solo cercasse (e lui ne è convito) di poter ristabilire l’ordine che manca.
Attraverso lo sguardo di Esch assistiamo a una scissione quanto mai netta tra il mondo borghese da un lato e quello proletario dall’altro. Nella piramide sociale chi è al vertice decide le sorti di chi è alla base e non può far altro che subire queste decisioni, avendo come unica arma di difesa il tentativo di ristabilire un equilibrio personale attraverso le proprie possibilità .
Ma il singolo, pur volendo estenderne il concetto alla molteplicità che crea la società-massa, può davvero con i suoi soli sforzi fare la differenza, a fronte di un potere superiore che per primo non si attiene a quegli stessi principi che rivendica sul suo popolo? O solo chi si trova al vertice ha la reale possibilità di ribaltare le sorti, sovvertendo quei meccanismi immorali e legittimati che sono la causa del suo stesso collasso?
Abbiamo assodato che l’approccio con cui Esch affronta questi interrogativi è la rabbia. Milan Kundera nel suo saggio Il sipario ci aiuta a delineare meglio, attraverso il pensiero dello stesso Broch, i contorni di questo sentimento provato da Esch:
Egli, dice Broch, è essenzialmente un ribelle. Ma che cos’è un ribelle? Il miglior modo per comprendere un fenomeno, dice ancora Broch, è compararlo. Broch compara il ribelle al criminale. Che cos’è un criminale? È un conservatore che fa affidamento sull’ordine costituito e vuole esserne parte, giacché considera i suoi furti e le sue frodi una professione che fa di lui un cittadino come tutti gli altri. Il ribelle, invece, combatte l’ordine costituito e vuole piegarlo al suo dominio. Esch non è un criminale. Esch è un ribelle.
La rabbia non rende Esch un criminale, ma un ribelle. E cos’è un ribelle se non un sognatore?
Meglio ancora si potrebbe definirlo un “sognatore ipervigile”: ossessionato da valori che non riesce più a riconoscere, agisce senza saper spiegare perché fa quello che fa, se fa quello che sarebbe corretto fare, se realmente dice quello che pensa, e se pensa in modo lucido rispetto ad ogni contaminazione che lo circonda. Proprio come in un sogno in cui ha perso l’orientamento. Ma chi si ostina a rimane in questo sogno, nonostante la sveglia della vita suoni per noi le sue avvertenze come prova dell’evidenza della realtà, rischia di vagare irrequieto nel limbo di una inconcludente ribellione restando per sempre un sonnambulo.
L’estraneo non soffre mai, è sciolto da ogni legame – soffre solo chi resta intrappolato.
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