I quindici racconti di “Occhi d’acqua” della scrittrice afrobrasiliana Conceição Evaristo ci scaraventano, con sguardo critico, fra le baracche delle favelas, tra desolazione e criminalità, discriminazione di genere e razziale. Il racconto di una realtà spietata, reso con un linguaggio accessibile e poetico
Ha atteso a lungo, ma poi è sbarcata in Italia, quasi contemporaneamente in doppia veste, come romanziera, e da autrice di racconti. Il romanzo Vicoli della memoria (ne abbiamo scritto qui), pubblicato da Tamu, restituisce in modo lirico, duro e compatto tanti temi fondanti della narrativa di Conceição Evaristo, scrittrice afrobrasiliana, nativa di Belo Horizonte, che ha iniziato a pubblicare tardivamente, ma è stata capace di affermarsi con una certa rapidità. Brava com’è a padroneggiare qualsiasi forma narrativa, quella breve è un fiore all’occhiello del suo sguardo critico sul mondo: come tanti piccoli corsi d’acqua, placidi o tumultuosi, si leggono quindici storie struggenti ma senza sentimentalismi, tra dolore e resistenza, tra brutalità e diseguaglianze, storie raccolte in Occhi d’acqua (121 pagine, 15 euro), proposto ai lettori italiani da una sigla coraggiosa, Capovolte edizioni: la traduzione arriva a dieci anni dalla prima edizione in patria ed è a cura di Francesca De Rosa, che firma anche un’acuta prefazione affiancata all’introduzione originale di Jurema Werneck.
Dietro queste donne l’autrice
Grazie alla letteratura di lotta e denuncia sociale di Conceição Evaristo ci si immerge fino al collo nelle favelas, tra le sparatorie di bande rivali e scontri con la polizia, tra discriminazione di genere e razziale; le sue pagine restituiscono l’urgenza e l’energia di narrare vite precarie e ai margini, individui quotidianamente esposti alla violenza urbana e all’indigenza, spesso donne, mogli, amanti, figlie, una madre con gli occhi allagati dal pianto, la fidanzata di un criminale, una mendicante già prostituta, una bimba e così via, ma in fondo si tratta di piccole variazioni sul tema di donne afrobrasiliane, spesso sottomesse e alle prese con drammi in serie, donne forti e vulnerabili, carnali e spirituali. Ed è facile immaginare che, dietro molte di queste affascinanti figure femminili, ci sia la stessa Conceição Evaristo, con la sua infanzia povera, con i lavori umili, con gli studi completati tardivamente, in lotta contro pregiudizi e violenze, senza smettere di affrontare esclusioni, episodi crudeli e fatiche, con l’obiettivo di emanciparsi.
Preghiere e pallottole
Nelle baracche in cui sono ambientate queste storie convivono grazia e miseria, preghiere biascicate e pallottole vaganti, amore e morte con una naturalezza che lascia esterrefatti ma, nonostante le apparenze, si tratta di racconti tutto sommato poco fantastici e poco onirici. Rarissime le protagoniste che si salvano o che trovano barlumi di pace, nessuna sembra avere le opportunità dei bianchi. Non c’è spazio per nessun tipo di idealizzazione, è tutto molto concreto, spietato, merito anche di un linguaggio accessibile, talvolta brutale, che però riesce ad essere a tratti poetico (si pensi alle nuvole del primo racconto…).
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