Ammirazione, senso di gratitudine, vergogna si agitano nel petto di Alfred Polgar, autore non di una classica biografia, quanto di un’agiografia, “Marlene”, dedicata a una delle dive per eccellenza, Marlene Dietrich
Una dichiarazione d’amore per una donna e attrice che è andata al di là della dimensione privata e pubblica di una diva, conficcandosi per sempre nell’immaginario collettivo, diventando un’icona senza tempo, tra le eroine al cinema di sempre, pur mai premiata con un Oscar. La dichiarazione d’amore, postuma, è di Alfred Polgar, di cui Adelphi pubblica Marlene (112 pagine, 12 euro), con un saggio di Ulrich Weinzierl in appendice: la traduzione è di Maria Letizia Travo. La protagonista di celluloide oggetto del suo desiderio, naturalmente è, la tedesca Marlene Dietrich, ambigua, divina, con «una fortissima magia erotica» addosso. Il ritratto è arrivato rocambolescamente ai posteri, ritrovato proprio da Ulrich Weinzierl trent’anni dopo la morte di Polgar, scomparso nel 1955, e pubblicato soltanto nel 2015.
Glamour girl number one
Diva globale ante-litteram, apertamente schierata contro i totalitarismi e contro il nazismo, «glamour girl number one», Marlene Dietrich trovò nell’austriaco Alfred Polgar il suo perfetto cantore. La stesura del libro risale alla fine degli anni Trenta, ma non vide mai la pubblicazione: dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, l’ebreo Pulgar iniziò a fuggire dai tedeschi, portando con sé il manoscritto. Da raffinato critico teatrale Polgar – che era anche sceneggiatore, saggista e autore di feuilleton – ebbe l’occasione di ammirare Marlene Dietrich agli esordi, in un teatro viennese a metà anni Venti, in un ruolo da spietata pupa in mezzo ai gangster. Da lì in avanti la passione divenne eterna e, per vie traverse, nacque perfino un rapporto fra i due: Polgar si rivolse a un benefattore e mecenate svizzero, che a sua volta ottenne aiuti economici per lui proprio dalla Dietrich, ormai stabilitasi a Hollywood, dopo l’exploit nel ruolo della ballerina nel film L’angelo azzurro di Josef von Sternberg. Proprio la generosità dell’attrice convinse Polgar a scriverne una biografia: Marlene è quel che resta di un’opera abbastanza tormentata e di difficile gestazione.
No ai pettegolezzi, sì alle celebrazioni
Celebra e glorifica. Questo fa, pur da ammiratore, Polgar con Marleen Dietrich, a cui finisce per dedicare un’agiografia. Ne parla come di una ragazzina di talento, di una madre felice, di una benefattrice instancabile, di una perfezionista in qualsiasi arte si cimenti. E non solo.
Nella triade: aspetto, portamento, voce (nel caso della Dietrich un accordo in minore) risuonano suoni armonici superiori che eccitano il sistema nervoso tanto intensamente quanto piacevolmente. Sex appeal. Fa sognare il nostro sangue nelle vene.
Rimarrà deluso chi aspetta di leggere aneddoti, pettegolezzi, nozioni o spaccati di vita dell’inarrivabile Marlene. L’autore lavora di cesello, principalmente sullo stile, girando attorno a un “soggetto del desiderio” inarrivabile e senza difetti – non è un caso che il sottotitolo sia Ritratto di una dea – dalle espressioni del viso alle gambe, dalle opinioni al modo di muoversi nel mondo. Per quanto incantato dall’attrice, l’autore comunque, come si evince dal testo di Ulrich Weinzierl, non faceva salti di gioia, è un lavoro che sente di dover fare per gratitudine e in una lettera citata da Weinzierl si pronuncia così: «… il pensiero di pubblicare al giorno d’oggi 150 pagine a mio nome incensando una diva del cinema mi è pressoché intollerabile…».
Seguici su Instagram, Telegram, WhatsApp, Threads, YouTube Facebook e X. Grazie