Donne contro i pregiudizi e gli stereotipi, quelle di Mariangela Biffarella, che torna in libreria con “La figlia della luna piena” spaccato della società siciliana del ‘900. Una vicenda ambientata sui Nebrodi, a Mistretta, fra cultura patriarcale e mentalità spesso violenta e discriminatoria. Luna, giovane pediatra a Roma, torna nel suo paese d’origine, dopo la morte di uno zio e fa inevitabilmente i conti col passato…
«Sullo sfondo del cielo terso, ricamato dal volo chiassoso delle rondini in festa, si staglia il cono del monte, sormontato dai ruderi del Castello». È ambientato a Mistretta, nel messinese, l’ultima fatica letteraria di Mariangela Biffarella, La figlia della luna piena, opera vincitrice della IX edizione del premio letterario nazionale “Andrea Torresano” 2023 di Gilgamesh edizioni, che ne ha curato la pubblicazione.
La scrittrice amastratina, dagli esordi narrativi, raccoglie menzioni speciali e raggiunge il podio in altri concorsi letterari: vincitrice dei premi editoriali “Parole nel vento” e “Bukowski” nel 2014 con il romanzo Scirocco.
Una vita che va in pezzi
Con La figlia della luna piena (352 pagine, 15 euro) Mariangela Biffarella racconta di Luna, una giovane pediatra che vive a Roma e torna in Sicilia in seguito alla morte dello zio. Il suo è un ritorno obbligato che la costringe a fare i conti con il proprio passato, a guardarlo dritto in faccia senza più alibi e scappatoie.
Così, come se guardasse la luna che si disfa e si ricompone mostrando tutto il suo splendore, la protagonista rivede la propria vita che va in pezzi, si eclissa oscurata dagli eventi, si perde nel buio della notte, invisibile agli altri e attraversando diverse fasi, satellite distante e ramingo in un paese che la guarda con distacco, ritorna piena, ricostruita, ricucita, intera. Un’interezza che viene riempita dalla cura dell’amore, paziente e catartico. Quell’amore a cui lei stessa era impermeabile perché ferita da un altro amore, quello della sua famiglia d’origine, emigrata in Argentina, lasciandola con la promessa di tornare.
La metafora della luna, della perdita della luce come pienezza di vita e del ricomporsi, attendendo quel tempo che lenisce e risana, accomuna molti dei personaggi del romanzo. L’autrice ci fa sprofondare in quel buio, quasi ci perdiamo nell’oscurità del male che stordisce, annienta, disarma e sembra condurre al disamore. Ma nel romanzo non manca mai la speranza, pur nei drammi dei personaggi, nel loro ricomporsi dopo essere andati in frantumi: anime fragili che traggono forza in se stessi e negli altri e riprendono a splendere come la luna, fetta dopo fetta, ricostituendo il proprio universo.
È un viaggio di formazione quello della protagonista, un percorso di vita che attraversa l’oscurità e lo smarrimento nel tentativo di risorgere. Drammi, traumi, angosce attanagliano i personaggi le cui vite si intersecano in una fitta rete di legami e disavventure.
Il passato che incontra il presente
La narrazione in prima persona è la voce di Luna che dà voce ai numerosi personaggi, ne racconta il passato che inesorabilmente, a distanza di tempo, incontra il suo presente. Ciò che è stato modella ciò che è, innescando una trama ricca di eventi. La voce narrante come in un assolo intona le voci di tutti. Il racconto diventa corale, si trasforma in sociale e ancora in storico. L’autrice ricostruisce con una narrazione scorrevole e piena di sfumature psicologiche e motti linguistici siciliani, intercalari tipici dei protagonisti del tempo, specchio della loro natura sociale, uno spaccato della società siciliana del ‘900. Ne racconta la mentalità e la cultura patriarcale che forgia atteggiamenti, usi e abiti mentali atavici, soffocanti, a volte violenti e drammaticamente discriminatori. Ancora una volta Mariangela Biffarella dà voce all’universo femminile con estremo realismo, lo contrappone al maschilismo di cui è vittima; ancora una volta plasma personaggi che come Sara, la zia di Luna, resistono al muro dei pregiudizi e degli stereotipi e, con tenacia e un incedere silenzioso e anonimo, lascia nel tempo traccia. Così come in Scirocco, Sara è la Teresa di questo romanzo, è il perno attraverso cui girano le vite degli altri protagonisti, alcuni dei quali se ne ancorano ben saldamente per trovare un riscatto nella loro esistenza.
Una penna camaleontica
La costruzione dei personaggi risulta ampia e composita. Mariangela Biffarella riesce a narrare multiformi sfumature esistenziali e come un pittore dà vita a una tela davanti alla quale non si può rimanere indifferenti, se ne percepisce la bellezza e se ne rimane osservatori meravigliati. Così la sua scrittura diventa lettura immersiva che come un vortice trascina il lettore nel corso degli eventi nei quali sono coinvolti i protagonisti del romanzo. In questo turbinio di emozioni, chi legge avverte sensazioni forti ed empatizza con Sara, Luna, Verna, Pietro. La penna dell’autrice è densa, intensa e camaleontica, passa dal registro alto e colto a quello popolare, forgiando così una narrazione coinvolgente e mai banale.
Altro ingrediente efficace è la storia dei personaggi, sempre in continua evoluzione, non risparmia mai il lettore di colpi di scena, disvelando segreti inconfessabili ed emozioni intense e forti.
Ne risulta così un romanzo da leggere assolutamente per la bellezza della trama molto articolata, ma anche per le tematiche che emergono: la questione femminile, la cultura patriarcale, la discriminazione sociale in senso collettivo; l’accettazione di sé in senso intimo e individuale. Una lettura fondamentale che fa riflettere sulla vita, sull’amore, sulla ricerca di se stessi. La ricerca di una strada, la propria, con le proprie gambe, con i propri piedi, senza “scarpe sagomate da un altro piede dentro cui dibattersi inutilmente, incapaci di prendere la giusta via”, ma dandone forma propria, plasmando le proprie idee per un incedere saldo e costruttivo del proprio sé.
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