“Il caffè di Tamer” di Diego Brasioli – che a lungo ha lavorato in Medioriente – è la storia di un’amicizia, lunga decenni, che sembra impossibile tra un ebreo e un musulmano a Gerusalemme. Una vicenda di speranza e convivenza, attualissima, che finisce per precipitare nella realtà, addolorando e amareggiando…
Fa ragionare e sperare nella convivenza pacifica tra due popoli, in un modello che ogni sera in tv vediamo forse non applicabile, poi infine, precipitando nella realtà, amareggia e addolora. E fa comprendere che in più di vent’anni nulla è cambiato, almeno in meglio. Diego Brasioli, attuale ambasciatore italiano in Lussemburgo, aveva scritto e pubblicato oltre vent’anni fa, presso Mursia, Il caffè di Tamer (84 pagine, 15 euro), una novella che era al tempo stesso una parabola dell’amicizia vera e dell’impossibilità di trovare una soluzione pacifica all’eterna contrapposizione fra israeliani e palestinesi. La stessa casa editrice, certamente sull’onda dell’attualità, ha pensato di rilanciare il volume.
Un’amicizia
In undici capitoli e un epilogo Diego Brasioli mostra una grande asciuttezza stilistica che si sposa comunque con una certa potenza narrativa. Merito soprattutto di un protagonista, modellato su un individuo realmente vissuto, a cui dà il nome di Dori Goldman: è un ebreo americano che lascia Atlanta e attraversa l’Oceano per farsi una vita in Israele, dove si stabilisce nel 1963, poco dopo l’omicidio di Kennedy. A Gerusalemme, per i decenni successivi, vivrà tutte le crisi e i momenti di guerra, tutte le tragedie (fino alla Seconda Intifada, di poco successiva all’11 Settembre) che hanno dilaniato e insanguinato quella terra. E lì stabilisce un profondo rapporto di amicizia con Tamer Hammoud, arabo, musulmano, proprietario di un caffè senza insegna, un locale senza troppe pretese ma abbastanza frequentato, un luogo di pace.
Cosa conta la ragione, se è persa?
Qualsiasi relazione umana, in quella che taluni si ostinano a chiamare Terrasanta, fa i conti con la tragedia perenne, col conflitto quotidiano, con un’aria funebre che aleggia a ogni piè sospinto. Diego Brasioli – che conosce bene il Medioriente, dove ha svolto la sua attività diplomatica – è abile a fare emergere la complessità della situazione e questa pesantissima atmosfera, squarciata appena dal legame più che cordiale di Dori e Tamer, che vivono in una zona di Gerusalemme dove la convivenza sembra possibile e si assiste al precipitarsi degli eventi senza opinioni faziose: «Alla fine, cosa conta chi ha ragione, se la ragione stessa è andata persa?»
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