“Il compratore di anime morte” è un inedito dell’inafferrabile Stefano D’Arrigo, ritrovato da Walter Pedullà. Opera minore che probabilmente sarebbe diventata un film o un testo teatrale. Il protagonista è un orfano adottato da un principe che prova a fare fortuna con un machiavellico escamotage, fra Napoli e Palermo, nel regno delle due Sicilie. E non mancano suggestioni, coincidenze, che fanno pensare a libri di Sciascia o Consolo…
Non avrei giammai creduto di poter leggere un libro inedito di Stefano D’Arrigo. Per chi, come molti di noi, è cresciuto con il mito di questi benedetti siciliani – Sciascia, D’Arrigo, Consolo, Bufalino – protagonisti di un laboratorio di scrittura unico negli scorsi decenni, avere tra le mani Il compratore di anime morte (288 pagine, 20 euro), da qualche mese nelle librerie edito da Rizzoli, sembra appunto un miracolo, una visione, un’ombra che ritrova il suo corpo.
Si tratta di una romanzo abbastanza agile, un lavoro molto lontano dal capolavoro rapsodico di Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca. Ecco, l’ho scritto, Horcynus Orca, un’opera che per decenni è stata posta giustamente tra i capisaldi della letteratura novecentesca, al pari di Joyce per ovvi motivi, ma anche di Proust, di tutte quelle opere cioè nate come cosmogonia del mondo contemporaneo. Un’opera un po’ dimenticata negli ultimi anni, troppo attenti forse alla letteratura di intrattenimento e meno alla ricerca sulla letteratura.
Tre nascite, un’altra genesi biblica
Fermiamoci, però, su questo inedito, scovato tra l’archivio che la moglie Jutta, da sempre Dea custode dell’opera del marito, ha donato in lascito ai fondi del Gabinetto Vieusseux di Firenze.
In primo luogo, è una riscrittura di Gogol? Sì, dichiaratamente, nello stesso sottotitolo.
Molte informazioni su questo libro le troviamo nella interessante ed esaustiva nota della curatrice Siriana Sgavicchia. Il dattiloscritto, scoperto da un grande amico dell’autore, Walter Pedullà, nell’archivio Alessandro Bonsanti del Vieusseux, non ha una data, e già individuare il periodo della sua probabile stesura non è semplice: il testo, possiamo dire, ha avuto tre nascite. La prima stesura probabilmente risale agli anni che precedono l’esordio di D’Arrigo, avvenuto nel 1957 con la raccolta di poesie Codice siciliano, presso Scheiwiller – All’insegna del Pesce D’oro (raccolta poi ripubblicata nella collana dello Specchio da Mondadori nel 1978). Sono i primi anni delle trasferte romane di D’Arrigo, densi di attività giornalistica e di frequentazioni con registi e sceneggiatori (Guerra, Zavattini) e, probabilmente, Il Compratore di anime morte era nato proprio per una sua traduzione cinematografica, da affidare magari a Visconti, in quel periodo impegnato con il primo grande film di ambientazione siciliana, La terra trema. Di tale proposta non ci sono tracce in verità negli archivi viscontiani ma un certo carattere neorealistico del testo e l’affinità di Visconti per la letteratura russa fanno venire in mente questa suggestione.
Il testo, dopo gli anni disperatissimi della stesura di Horcynus Orca, sembra poi tornare protagonista negli interessi di Stefano D’Arrigo: siamo alla seconda nascita. È molto probabile che l’autore ne volesse proporre una riduzione teatrale ad Andrea Camilleri, ancora non scrittore di fama, con cui passa la Pasqua del 1976 nella casa in Toscana dell’allora regista. Strana storia, poiché mi è difficile indicare due autori così distanti, soprattutto nell’uso della lingua e nelle intenzioni di scrittura; ma non è questo il luogo per aprire vecchie ferite.
La terza nascita è questa del 2024, quando finalmente il libro viene donato a noi comuni mortali dall’editore Rizzoli. Insomma, un’altra delle genesi bibliche del grande scrittore siciliano.
Un viaggio nel profondo sud
Il libro si legge con grande interesse e non solo perché è un libro di Stefano D’Arrigo. La storia, che appunto riprende quella di Gogol, inizia in una Napoli pre risorgimentale oscura e folgorante nello stesso tempo. Il protagonista, l’orfano ormai trentenne Cirillo Docore, per una sorta di scherzo di strada, viene creduto capace di avere i numeri del lotto in sogno. Per questa sua presunta dote, viene adottato sul momento dal Principe di Margellina che al lotto si era giocato tutto il patrimonio. Al novello Principe Cirillo, che i numeri naturalmente non li sognava affatto, viene presto in mente il piano perfetto per fare la fortuna sua e del padre adottivo: sfruttare una falla della legge e comprare, per poi rivenderle, le anime morte, cioè i contadini defunti nei feudi. E dove trovare villani morti come mosche per fatica, fame, colera, se non nella “felicissima” Sicilia borbonica? Inizia così un viaggio tra le miserie morali e materiali dei latifondi isolani intorno alla Palermo dell’aristocrazia parassitaria e stracciona del tempo. Un viaggio che, forse per amore forse per l’ideale, non avrà ritorno e che vedrà Cirillo in camicia rossa gettare al vento tutte le anime morte contrattate con duchi e baroni, alla vigilia dell’arrivo di Garibaldi (c’è il ritratto di D’Arrigo nel garibaldino caduto del dipinto di Guttuso Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio; i due si conobbero nel dopoguerra).
Corrispondenze siciliane
Molte sono le suggestioni che accompagnano la veloce lettura del libro: si pensa facilmente alle dimore di campagna del Consolo de Il sorriso dell’ignoto marinaio, altro testo sul Risorgimento degli ultimi, e del resto Consolo è l’altro grande isolano ad aver battuto la strada della ricerca profonda sulla lingua siciliana, insieme a D’Arrigo. Ma si pensa molto allo Sciascia de Il consiglio d’Egitto, per una certa somiglianza tra l’impostura di Cirillo Docore e quella dell’abate Vella, entrambi fortunati a sfruttare l’ignoranza, l’inettitudine, l’abisso culturale e spirituale delle classi dominanti pre unitarie.
Corrispondenze, se è vero che il libro è inedito.
Scoprire e riscoprire
Il compratore di anime morte, con la sua vena di satira del mondo borbonico, è un libro da scoprire (a maggior ragione in epoca di revisionismo neo borbonico). Nato prima e forse ripreso tra le mani dopo la tremenda fatica della composizione di Horcynus Orca, ci permette di riscoprire le diverse fasi della vita e del lavoro sulla scrittura di una figura ancor oggi enigmatica, inafferrabile. Un intellettuale, uno scrittore che, con il suo capolavoro soprattutto, ma pure con opere magari minori come questa, ha tracciato una linea di analisi sulla letteratura e sulla lingua che non dobbiamo mai dimenticare. Del resto, per fortuna, ancora oggi vediamo autori e autrici che provano a tracciare segni e strade nuove, con fatica e sofferenza, ben lontano dalle sirene del facile successo da fiction televisiva di tanta scrittura isolana.
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