“Tangerinn” di Emanuela Anechoum è un romanzo d’esordio, poco autobiografico, che invita a fare i conti con le proprie origini, con quello che si guadagna e che si perde, lasciando casa. La protagonista torna a casa dopo la morte del padre e fa i conti con la sua generazione e con quelle che l’hanno preceduta. Videointervista all’autrice: «Casa è la gente su cui puoi contare…»
Di mestiere vende i diritti per le traduzioni all’estero dei libri. E adesso si ritrova dall’altra parte della barricata, perché un libro l’ha scritto lei. La calabrese Emanuela Anechoum ha scritto un debutto maturo sotto vari aspetti. Tangerinn (256 pagine, 18 euro) è stato pubblicato dalle edizioni e/o. E ha un’origine familiare, sebbene le corrispondenze autobiografiche siano poi poche e labili. Lo spiega la stessa autrice, in questa videointervista: «L’inizio della della scrittura è stato ispirato ad alcuni racconti di mio padre, marocchino arrivato in Italia negli anni Ottanta. E qui si fermano le somiglianze con la mia vita, ho cercato di esplorare strade alternative. Lui mi ha sempre raccontato con brio e dovizia di particolari alcuni episodi della sua infanzia, ma diciamo che il romanzo è molto più malinconico delle storie, pur affascinanti, che racconta lui. Sono vicende che hanno svegliato qualcosa nella mia immaginazione».
Omar, padre della protagonista di Tangerinn (ne abbiamo scritto qui), è cresciuto a Casablanca e sogna di trasferirsi in Europa, nonostante un’adolescenza piena di affetti e di passioni. «A me interessava – sottolinea Emanuela Anechoum – raccontare la storia di quello che noi adesso definiamo un migrante economico. Non ha una vita infelice, andar via è il sacrificio di lasciare famiglia e radici. Un’esperienza che segna fortemente e non è troppo dissimile da quella di chi si trasferisce dal sud Italia al nord o all’estero”. Insomma, la fuga come soluzione, allora ed ora. Ma con una differenza fondamentale. «Quella del privilegio – aggiunge l’autrice di Tangerinn – nel senso che la generazione dei miei nonni e anche dei miei genitori si spostava per contribuire all’economia familiare, la mia si sposta inseguendo un sogno di autorealizzazione. Noi sapevamo già a quindici anni che saremmo andati via, a studiare in un’università del nord e a restare lì».
Il ritorno alle origini, il ritrovamento dei legami familiari (dopo la morte del padre, Mina, la protagonista del romanzo, torna a casa, riallacciando i rapporti con la sorella e la madre), il significato di casa, parola sfuggente che aleggia per tutto il romanzo. «Casa è ciò che lasci, cercando di creartene un’altra. Quando sei separato dalla tua famiglia, devi crearti una comunità, partendo da zero, in ogni luogo in cui vai. Alla fine casa è la gente su cui puoi contare…».
Qui la videointervista integrale, buona visione
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