Amélie Nothomb, imparare l’arte di amare l’inafferrabile

La giovinezza raminga al seguito del padre diplomatico, l’amore per i voli e i canti degli uccelli, la violenza subita giovanissima, l’anoressia. “Psicopompo” è il più intimo fra i romanzi di Amélie Nothomb: la lettura dura poco, ma metabolizzarla non è semplice

La lettura dura un soffio, metabolizzarla è invece un processo lungo e complesso. Va così con i romanzi di Amélie Nothomb, che hanno già superato quota trenta, dall’esordio di Igiene dell’assassino del 1992. L’appuntamento con cadenza annuale, in Francia e in tutto il mondo, in Italia fedelmente con la casa editrice Voland, si concretizza anche questa volta, con uno dei suoi volumi più personali, in cui esplicita traumi del passato e dà forma compiuta a episodi, situazioni, stati d’animo.

Amore aviario

Al di là di indulgere sugli aspetti più crudi, prosaici e sui moti perenni del suo animo e del suo corpo (sempre al seguito del padre, diplomatico belga, una giovinezza raminga), una chiave di lettura importante, fra le tante, del più recente romanzo di Amélie Nothomb potrebbe arrivare da un passaggio di Psicopompo (105 pagine, 16 euro) che si legge quasi a metà:

La contemplazione perenne di un essere così furtivo mi ha insegnato l’arte di amare l’inafferrabile. Ci si meraviglia della fedeltà amorosa degli uccelli. Eppure si tratta di un fenomeno normalissimo in individui per i quali il concetto di possesso è del tutto estraneo.

Parla di “amore aviario”, l’autrice che vive tra Belgio e Francia, di una costante passione per i volatili di varie parti del mondo, dal Giappone al Bangladesh, terre in cui ha vissuto da giovanissima con la famiglia. E dalle sue minuziose, ossessive osservazioni di fatiche, voli, canti degli uccelli, lentamente ci porta su altri territori, finora non abbastanza esplorati.

Come una morte

Psicopompo – pubblicato come sempre da Voland, reso in italiano da una certezza come Federica di Lella, traduttrice anche di Simenon, Echenoz, Sagan, Carrère – è un titolo che si rifà esplicitamente alla mitologia classica: chi accompagnava le anime nel regno dei morti, il traghettatore con destinazione il mondo ultraterreno, era un psicopompo, ad esempio il dio Ermes, ma non solo lui. E in queste pagine Amélie Nothomb confessa in qualche modo di esserlo, o meglio di sapere dialogare con chi non c’è più, a cominciare dall’amato padre, morto durante la pandemia del Covid. Quello stesso padre che nulla poté fare per salvarla da una violenza di gruppo che la dodicenne Amélie Nothomb subì, alla fine degli anni ’70, in Bangladesh, al largo di una spiaggia: come una morte. Seguirono anni di dolore, il tunnel dell’anoressia per almeno dieci anni: tonnellate di dolore da frantumare, trasformare, da affrontare anche con la scrittura. Una fuga coraggiosa, repentina, come quella di certi uccelli amati. Prendere il volo così, risalire dagli abissi, diventare inafferrabili non è da tutti.

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