Arrampicarsi sulle vette più alte è sempre stata l’idea di libertà della climber iraniana Nasim Eshqi che nel libro autobiografico “Ero roccia, ora sono montagna” racconta delle sue imprese sportive e della condizione femminile nel Paese d’origine. “Per lei – spiega Francesca Borghetti, che ha co-firmato il volume – è cambiato tutto dopo la morte nel 2022, con la morte di Mahsa Amini e l’esplosione delle proteste. Il motore di quella rivoluzione è femminile…”
Sono le due voci della climber Nasim Eshqi e dell’autrice Francesca Borghetti a farne una nel libro «Ero roccia, ora sono montagna. La mia battaglia per la libertà delle donne in Iran e nel mondo» (176 pagine, 18 euro, Garzanti), ultimo atto della storia dell’alpinista iraniana, già protagonista del documentario Climbing Iran (2020), premiato alla 69ª edizione del Trento Film Festival 2021, e del podcast in cinque puntate Nasim, Iran verticale (2023), prodotto da RaiPlay Sound e presentato in un evento live al Prix Italia 2023, a Bari.
Quella di Nasim è l’esperienza di una giovane nata e cresciuta in Iran, testimone delle restrizioni giuridiche e della repressione culturale imposte dal regime nei confronti delle donne, in osservanza alle prescrizioni governative e alla rigorosa sorveglianza della polizia religiosa. L’ombra oscura di questo condizionamento, nera come il colore d’obbligo per il velo e gli abiti femminili, le precipita addosso sin da bambina, scontrandosi con il suo coraggioso istinto per la vita: il respiro d’aria nuova lo porta cucito nel nome -“brezza” in persiano – e nella nascita nel giorno di Nowruz, il capodanno iraniano, che celebra il rinnovamento della natura e degli uomini attraverso particolari rituali e usanze (quali la Tavola delle sette “S”, che prende il nome dalle iniziali in lingua persiana degli oggetti disposti con finalità apotropaiche: mela, aglio, monete, aceto, germogli, budino di germogli di grano, sommaco), e coincide con l’equinozio di primavera. E sull’incipit «Sono nata a Teheran il 21 marzo 1982» sembra aleggiare l’eco profetica dei versi di Alda Merini – “Sono nata il ventuno a primavera/ma non sapevo che nascere folle/aprire le zolle/potesse scatenar tempesta” – e dell’urgenza di vita comune a una bambina che si affaccia al mondo. È ribelle, nega la propria femminilità tagliando i capelli, interpretandola come uno svantaggio contro la libertà di cui godono i suoi coetanei; non vuole essere riconoscibile e canalizza ogni energia nello studio e nello sport.
Poi la scoperta della passione per la montagna si sovrappone all’aspirazione alla libertà, alla ricerca di affermazione per sé stessa: «Di certo non mi fermavo di fronte allo sguardo stupito di chi mi riteneva strana o matta; per me non esisteva obiettivo superiore a quello di arrampicare, arrampicare, arrampicare e toccare con mano la libertà». Nasim diventa climber professionista, insegna arrampicata e, dal 2013 al 2020, scala le montagne di Iran, Emirati Arabi, Oman, Turchia, Armenia, India, Cina ed Europa (Repubblica Ceca, Austria, Italia, Francia. Germania, Spagna), aprendo nuove vie sulle montagne non ancora scalate da altri. Ogni occasione di viaggio, malgrado le difficoltà per il rilascio del visto e la prudenza nel tenersi lontana dai controlli nelle città, le consente di respirare la libertà, la bellezza incontaminata della natura o forgiata dalla mano dell’uomo – così per le iscrizioni di Bisotun e il ponte di Si-o-se Pol o “dei trentatré archi” – e di comprendere il potere delle proprie idee: «Condividevo con gli occidentali informazioni che non avrebbero potuto trarre dai media. Di converso, una volta in Iran, informavo la mia gente di ciò che accadeva in Europa… ero una messaggera che passava notizie di qua e di là, un ruolo importante su cui cominciai a riflettere».
Dalle parole di Francesca Borghetti, che ha firmato anche il documentario e il podcast, impariamo a conoscere Nasim, in occasione della presentazione romana, presso la Libreria Panisperna nel quartiere Monti.
Com’è nato il progetto di raccontare la vita di Nasim Eshqi?
»La storia di Nasim è arrivata otto anni fa, nell’aprile 2016, tramite un articolo, che ha intercettato vari desideri, da antropologa e regista, di raccontare di esperienze e paesi lontani. Ne sono scaturiti, da un lato, la riflessione sull’immagine bidimensionale delle donne iraniane e sull’idea di libertà di Nasim, realizzata attraverso l’arrampicata sulle montagne; dall’altro, l’evidenza del contrasto tra le regole dell’uomo e la legge della natura, in un corto circuito da cui è scattata l’urgenza di sapere di lei e di conoscerla».
Qual è l’idea di libertà di Nasim?
«Nasim vive una pulsione innata verso la libertà, che emerge nella formula autobiografica del libro e nel racconto familiare dell’infanzia e dell’adolescenza. I genitori sono insegnanti, hanno un diverso background e hanno conosciuto la situazione dell’Iran prima e dopo la rivoluzione islamica del 1979, e le complessità stratificate nella società circa la condizione femminile e l’interpretazione del cambiamento anche nelle parole, se si pensa ai nomi del Viale della Rivoluzione e a Piazza Azadi, che significa “libertà”. Lei non comprende le restrizioni personali imposte dal regime alle donne, e nello sport, inizialmente nel kick boxing, realizza il modo di esprimere sé stessa. Poi conosce la montagna e l’arrampicata diventa il piano simbolico della ricerca di una nuova via. È quanto accaduto nella storia parallela di Ninì Pietrasanta, alpinista italiana negli anni ’20, su cui ho realizzato un podcast nel 2022, ma anche nel percorso di scrittura di questo libro, nella scalata della distanza dalla cultura di un luogo lontano».
Quando nasce in Nasim Eshqi l’urgenza di parlare della condizione femminile in Iran?
«Lei riesce a condurre la propria vita in una sorta di rischio calcolato, osservando le regole e cercando di non attrarre su di sé l’attenzione, da campionessa sportiva e da istruttrice, anche quando guida in arrampicata gruppi misti di uomini e donne, violando la segregazione vigente nei luoghi pubblici. Lo sguardo della polizia religiosa è sempre vigile e temuto: in un episodio del libro, in occasione di un festival internazionale di arrampicata in Iran, racconta di essere stata condotta in commissariato insieme al compagno di cordata, per rispondere sulla ragione dei loro rapporti personali. La sua vita cambia nel 2022, con la morte di Mahsa Amini nel commissariato di Vozara e l’esplosione delle proteste popolari. È la parte finale del libro: come Mahsa, anche Nasim era stata in quel commissariato, dove si può finire pretestuosamente per un controllo o per firmare dei moduli, come era accaduto a lei, spinta dentro una camionetta insieme ad altre donne fermate per motivi diversi e incredibili, nell’assoluta arbitrarietà esercitata dal regime. Nasim realizza che quanto successo a Mahsa poteva succedere a lei, che finora è stata protetta dal rischio di arresto e di pene inflitte, e che è tempo di uscire allo scoperto. Mi contatta e, dopo il nostro incontro, è stato realizzato il podcast. Poi è seguito il libro, oramai facile da scrivere per me, perché arrivava dall’ introiezione e dalla metabolizzazione della sua storia».
Come ha reagito la popolazione?
«Nei miei tre viaggi nel Paese ho sentito la fibrillazione della società, soprattutto nei più giovani. La separazione di genere è stata uno strumento per indebolire la popolazione e ostacolare l’opposizione al regime, ma in qualche modo ha tutelato le donne istruite. Ecco perché il motore della rivoluzione è femminile e ha raccolto il sostegno degli uomini».
Cosa può fare l’occidente e quali sono le ricadute di questo lavoro?
«Dipende dal contesto internazionale, la battaglia degli iraniani contro il regime non è certo facile, sono lì anche per gli occidentali e gli europei, meritano contributo e incoraggiamento. Oggi è possibile amplificare da un luogo all’altro i messaggi di denuncia e, da questo punto di vista, i social si sono rivelati utili. Anche Nasim Eshqi all’inizio, riportando la propria esperienza, non pensava al cambiamento. Poi il documentario ha agito anche su di lei, emozionandola con la rivelazione delle ragioni che l’hanno sostenuta, e per le quali continua a combattere, lontana dal proprio Paese, dove la sua vita potrebbe essere in pericolo».
Quanto è importante che sia stata una donna a scrivere questo libro?
«Molto, perché il racconto di Nasim è un’esperienza di autoaffermazione per chi narra, in ragione della capacità di lettura con cui una donna può parlare di un’altra, raccogliendone con sensibilità la narrazione degli eventi e trasmettendone l’interezza di tutte le istanze – dalla libertà al riconoscimento dei diritti – comuni al genere femminile».
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