Intervista all’autore di “Romanzo senza umani”, nel cui frontespizio s’avverte subito che non si tratta di un prodotto dell’intelligenza artificiale. “Non per essere detrattori dello sviluppo – chiarisce Paolo Di Paolo – ma per definire il rapporto con la creatività umana, che sarà anche inadeguata e imperfetta, ma è umana…”
Nella cascata dei candidabili al premio Strega 2024 c’è anche Paolo Di Paolo con un volume che forse segna un cambio di rotta rispetto alla sua precedente produzione. Non si fa fatica a pronosticargli un posto certo nella dozzina che rappresenterà la prima scrematura del riconoscimento più amato e discusso d’Italia. Al di là dei pronostici, però, siamo in presenza di una prova importante (ne abbiamo scritto qui) per l’autore romano, che non ha paura di sperimentare linguisticamente e formalmente (ma la forma è davvero sostanza…), e che si inventa uno storico, Mauro Barbi, che i qualche modo prova a farsi storico di se stesso. C’è – insieme a tanto altro – anche questo in Romanzo senza umani (224 pagine, 17 euro) di Paolo di Paolo, edito da Feltrinelli.
«Il titolo potrebbe portare fuori strada – chiarisce subito nell’intervista che abbiamo realizzato alla libreria Modusvivendi di Palermo – era un’intenzione, una volontà, quella di provare a scrivere un libro privo di presenza umana, ma mi sono reso conto dopo tre pagine che… avevo bisogno dell’umano. Forse contraddire il titolo, in fondo, era il senso stesso del romanzo che è, come la scrittura, un gesto integralmente umano». Paolo Di Paolo si interroga su umanità e intelligenza artificiale, su come non solo le coordinate spaziali e temporali, ma anche quelle climatiche, possano condizionare l’esistenza; e poi riflette anche sul senso della scrittura e sul rapporto con la memoria.
Forse a essere un romanzo senza umani è la vita del protagonista, uno storico di mezza età, che all’improvviso prova a cambiare rotta. «Lui a un certo punto – osserva Paolo Di Paolo – si accorge di avere un paesaggio emotivo spopolato. Si è sempre dedicato allo studio, ed è come se si alzasse all’improvviso dai libri e fosse sorpreso da queste assenze. Prova a riconvocare tutti i testimoni oculari della sua vita, risponde a email dopo quindici anni, da un certo punto di vista è anche grottesco, ma perché è circondato da assenze più che da presenze. Prova a fare lo storico di se stesso, è un paradosso, si accorge che il richiamo del presente è più urgente della dialettica del passato, lo storico, in questo senso fallisce». C’è un’avvertenza nel frontespizio di questo libro (si spiega che “non è un prodotto dell’intelligenza artificiale”). «Una provocazione questo timbro – conclude Paolo Di Paolo – ma un’avvertenza che forse in futuro sarà necessaria. Non per essere detrattori dello sviluppo, ma per chiarire che c’è un rapporto con la creatività umana che va definito, significa consegnare al lettore l’inadeguatezza e l’imperfezione, dicendo però che è tutto umano».
Qui la videointervista integrale, buona visione