L’inestimabile pregio dei ricordi anima le pagine di “Quando l’anima sa leggere. Storie e personaggi di Sicilia” di Pepita Misuraca, una dei protagonisti della vita culturale e artistica del Novecento a Cefalù. Un volume speciale in cui trovano spazio, con uno sguardo al tempo stesso analitico e sentimentale, bozzetti di figure eccentriche e memorie di una vita avventurosa
Il Grande Romanzo Cefaludese o Cefalutano, si sa, l’ha scritto Vincenzo Consolo con Il sorriso dell’ignoto marinaio e con Nottetempo, casa per casa, oltre che in qualche scritto minore, e in un rapporto con la cittadina che andava oltre il conferimento della cittadinanza onoraria del 1993 o altre occasioni formali. Colto, schivo, innamorato di Cefalù, Consolo ha lasciato pagine che danno conto dei luoghi e della comunità cefaludese. Ma non è stato il solo. Ci ha messo del suo anche una donna singolare e preziosa, una genovese di Sicilia, finita nell’Isola per amore, che riuscì a compenetrarsi, a suo modo con impegno civile, con una realtà che sconosceva, senza paure o pregiudizi. Il nome di Pepita Misuraca, negli ultimi decenni, era stato offuscato, stropicciato, non rispettato in proporzione a quanto aveva fatto, con passione e versatilità fuori dal comune.
Recupero e riconoscimento
È uscita dal cono d’ombra grazie all’iniziativa di un pronipote, Giorgio Belli dell’Isca, che ha curato la riedizione di due delle tre opere pubblicate in vita da Pepita Misuraca, radunate sotto un unico titolo, Quando l’anima sa leggere. Storie e personaggi di Sicilia (246 pagine, 14 euro), e ne firma anche la prefazione. La veste editoriale è delle più eleganti, un volumetto bianco della casa editrice palermitana Il Palindromo, con un disegno di Bruno Caruso in copertina: un’operazione agevolata anche da un contributo del Comune di Cefalù. La collocazione nella collana Kalispéra [doc] è un riconoscimento autentico, visto che il nome di Pepita Misuraca si affianca a gente come Giuseppe Antonio Borgese, Nino Savarese, Selma Lagerlof, Alexandre Dumas e Angelo Petyx.
Con gli intellettuali
Pepita Misuraca (cognome acquisito, all’anagrafe era Giuseppina Barbarossa), che appena diciottenne, negli anni Venti si trasferì in Sicilia al seguito del marito Salvatore, è stata a lungo calamita e promotrice delle attività culturali di Cefalù, intrecciando amicizie e rapporti epistolari con i maggiori intellettuali, a cominciare da Sciascia e dallo stesso Consolo. Giovanissima e incosciente si trasferì, riuscendo ad «accettare con devozione i miti della Sicilia millenaria, e più tardi nelle avversità della vita avrebbe saputo muoversi nello sfondo di tragedia che della Sicilia è il più naturale umano scenario».
Agitatrice culturale
Con energia e passione si è dedicata a Cefalù (che recentemente ha ricambiato, con l’intitolazione di una strada), incoraggiando talenti, tracciando strade inedite, esponendosi come antesignana di iniziative artistiche e artigianali (inaugurò una boutique esclusiva, che divenne cenacolo di amabili conversazioni per una clientela di livello, anche internazionale), regalando, specie in età matura, idee e braccia in chiave organizzativa all’associazione Amici della Musica e alle manifestazioni più riuscite e disparate, dallo sport alla moda, al folklore, incoraggiando restauri e iniziative, artisti e musicisti. Frequentava a sua volta ritrovi culturali altrove, a cominciare dalla libreria Flaccovio, dove entrò in contatto con Guttuso e Sciascia, fra gli altri e, in barba a regole e ipocrisie, si avventurava anche in certi “templi” a lungo riservati solo agli uomini, primo fra tutti il circolo Unione di Cefalù.
Due opere in una
Raffinata, poliedrica, tenace, più meridionale dei meridionali, Pepita Misuraca – scomparsa poco più di trent’anni fa – coltivò con successo anche la scrittura, con memorie e racconti, libri vividi. Nel recente volume del Palindromo sono riuniti I personaggi (prima edizione nel 1973) e Quando l’anima sa leggere (che risale al 1982): i nove anni di differenza si fanno sentire, nella misura in cui le prove degli anni Settanta si risolvono in bozzetti, schizzi narrativi incentrati su figure pittoresche, quando non proprio eccentriche della Cefalù degli anni Venti, quella che la accolse; mentre il volume successivo (che oltre alla prima sezione eponima, offre la personalissima Una genovese in Sicilia, che si conclude con la morte del marito, e, infine, Quindici anni dopo) è ricco di prose più compiute, più pensate e mature.
Nostalgia e ironia
Non manca la nostalgia («Nel 1920 vi erano ancora molti analfabeti in Sicilia e oggi mi domando se forse non fossero più felici»), ma c’è anche una convinta attenzione al presente e al futuro, specie nelle ultime pagine. Il culto della memoria («l’inestimabile pregio dei ricordi»), un pizzico d’ironia mai malmostosa e uno spirito d’osservazione allo stesso tempo analitico e sentimentale sono i cardini delle pagine di Pepita Misuraca. Il suo sguardo amorevole e mai straniero si posa su un ciabattino tutt’altro che esoso, sulla bizzarria di un colto farmacista – che porta a spasso per il corso una capretta – su un medico, su contadino, su una poetessa e su un canonico. Tutti tipi speciali che contribuiscono a farle «capire meglio il significato della vita». Esistenza che scorre tumultuosa principalmente fra Palermo e Cefalù, con una parentesi africana al seguito del marito, componente della milizia nazionale in missione all’estero. Del suo paese sul mare, che lungo i decenni scopre la vocazione turistica, Pepita Misuraca cuce assieme curiosità e pregi, limiti e tradizioni. Lo fa da osservatrice privilegiata, con stile.
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Stupendo questo articolo, sembra che l’autore sia veramente riuscito a cogliere l’estro, la fantasia e la passione di Pepita, grazie
grazie dell’attenzione