Da una partitura iniziale, ironica, a un’altra, inquietante, dalla scrittura più cruda, ma sempre curatissima. È la parabola di “Grave disordine con delitto e fuga” di Ezio Sinigaglia. Da una parte c’è un grande imprenditore, amante del controllo, sposato e padre, dall’altra un fattorino minorenne di umili origini e di “eccessiva bellezza”…
Grave disordine con delitto e fuga (105 pagine, 14 euro), di Ezio Sinigaglia, scritto nel 1994 e appena pubblicato da Terrarossa, è un racconto lungo che nel titolo lascia presagire spunti narrativi nuovi (un noir?) rispetto alla produzione più nota dell’autore.
La prima parte si presenta come una panoramica degli otto mesi circa di un (non ancora grave) disordine: Da qualche tempo nella vita dell’ingegnere De Rossi c’era un lieve disordine. Lieve, lievissimo, ma oltremodo irritante per un uomo abituato, come lui, a tenere in perfetto ordine tutto. A causarlo è il fattorino di una delle tre aziende di cui il suddetto protagonista ingegnere De Rossi (privo di nome proprio) è presidente: Michelangelo, detto Jimmy (privo di cognome), un diciassettenne di eccessiva bellezza… assolutamente perfetto come non manca di rimarcare di continuo la voce narrante che, con tutta evidenza, esprime il punto di vista del protagonista. Le notizie raccolte direttamente e indirettamente sul magnifico Jimmy delineano un ritratto di perfezione estetica e, si direbbe, anche etica, che non stupisce solo il protagonista, ma tutti coloro che si trovano nei paraggi o che semplicemente sanno della sua presenza in loco: un po’ come la Beatrice stilnovistica, che col sorriso, il saluto, l’incedere, anche col semplice essere lì, diffondeva un clima sospeso di gentile beatitudine. Con la differenza non da poco, nel caso del magnifico, di un sovrappiù di corporea sensualità che innesca ovunque una frizzantina agitazione generale. Pronto di mente e di parola, amichevole con tutti, efficiente e organizzatissimo nel gestire con ottimi risultati il lavoro, la scuola serale, il calcio e la vita privata, Jimmy proviene da una famiglia povera materialmente e culturalmente, e ha progetti ambiziosi per il proprio futuro. All’opposto, l’ingegnere De Rossi, coinvolto nella conduzione di altre undici aziende, è il rampollo di una famiglia che da generazioni amministra un impero economico-finanziario-immobiliare, prevalentemente a Milano, e che, educato alla gestione del potere, nella sua cortesia verso i dipendenti, si compiace talora a metterli a disagio, assecondando una vena intermittente di blando sadismo verbale. Un trentenne amante del controllo, sposato bene e padre di un bambino di tre anni, dalla cultura ampia e dalla mentalità priva di pregiudizi, che, per quanto cerchi un punto debole, una maniglia con la quale afferrare l’oggetto del suo desiderio e riportare l’ordine nella propria vita, non riesce a individuare il magnifico vizio che senza incertezze ipotizza esistere nell’altro come contrappeso a cotante virtù.
Meccanismi di potere e vita aziendale
L’attenzione rivolta alle classi sociali dei protagonisti, più che finalizzata a definirli staticamente, mira a evidenziare i meccanismi di potere che scattano nel rapporto di attrazione-collisione di due mondi così distanti. De Rossi e Jimmy sono situati ai poli estremi del massimo e del minimo potere all’interno della linea gerarchica dell’azienda e anche, ovviamente, all’esterno: accostamento che crea una delle coppie oppositive che innervano il racconto fino alla conclusione. Se giudizi e considerazioni in tema non mancano en passant da parte dell’ingegnere De Rossi e della voce narrante, del magnifico Jimmy, a parte i pochi scambi di laconiche battute col suo direttore, riportati in diretta (e sottoposti a un’esegesi minuziosissima), sappiamo solo ciò che viene filtrato dallo sguardo esterno, infatuato e interessato di ingegnere e narratore. Si aggiungono a tutto ciò le dinamiche della vita aziendale, raccontate attraverso la connotazione ironica e complice, sempre formalmente armoniosa, cui ci ha abituati la voce dell’autore, e che caratterizza per intero questa prima parte e solo in una certa misura la successiva (nei flash back e nella digressione), nella quale va lasciando il posto a una modalità espressiva differente.
La telefonata “fatale”
La situazione di stallo del lieve disordine, irrisolto da quasi otto mesi, viene sbloccata nella seconda parte in un crescendo di tensione da un’unica scena, spezzata, messa per tre volte in pausa dai tre non brevi flash back (e dalla digressione) cui si è accennato, necessari alla comprensione di quanto sta accadendo, cioè una concentrazione bizzarra di imprevedibili coincidenze. In questa parte, molto più che in precedenza dove si è affacciato con discrezione, il caso è infatti decisivo nella genesi e nello sviluppo accelerato dei fatti. È un caso fortuito, infatti, che l’ingegnere De Rossi si trovi da solo nella sua villa milanese, è un caso fortuito (in realtà sono vari e concomitanti) che Jimmy venga inviato dalla segretaria della ditta Termolux nella villa dell’ingegnere per certi documenti da firmare, è un caso fortuito che un altro ingegnere tenga occupato il collega protagonista con una infinita, non indispensabile nemmeno in altri momenti, telefonata, consentendo a Jimmy di allontanarsi dal tavolo attorno al quale ha condiviso il pranzo di fortuna col suo direttore, di incamminarsi nel parco privato della villa e di sparire per circa venti di minuti dal campo visivo di De Rossi, e nostro. La telefonata, in particolare, è lo snodo a tutti gli effetti “fatale”: interrompe il prosieguo dell’indecifrabile sguardo di Jimmy fisso in quello dell’interlocutore e avvia la storia verso un (altro?) itinerario, l’unico che ci viene raccontato. Cosa provochi l’urlo agghiacciante che all’improvviso squarcia l’aria immobile, cosa succeda in quella già estiva giornata di maggio nella villa dell’ingegnere De Rossi fra lui e il magnifico Jimmy preferisco lasciarlo scoprire al lettore, non privarlo del piacere di inoltrarsi “dal vivo” nella sconcertante sequenza, violenta e drammatica, in cui si svelerà la realtà del delitto e della fuga preannunciati nel titolo.
Coppie oppositive
In questa seconda parte altre coppie oppositive si aggiungono a quella citata: il contrasto rimarcato fra le aree del prato abbacinate dal sole e quelle oscure della zona alberata non svolgono soltanto la funzione di pennellate descrittive (peraltro in stretta relazione con movimenti, posture e parole dei protagonisti), così come lo sguardo azzurro, penetrante e gelido di De Rossi contrapposto a quello nero, magnetico e ctonio di Jimmy rimandano a significati simbolici, psicologici, archetipici. Una certa aura mitica sembra peraltro avvolgere la figura in apparenza luminosa e invece chiusa, enigmatica del ragazzo, offerta al lettore fino alla fine unicamente dall’esterno, e che allude forse a Ermes (divinità adolescente per eccellenza) Psicopompo, a Eros (i sorrisi scoccati come frecce), e più ancora a Dioniso (Jimmy era disordine vivente). Del resto tutta la scena si svolge all’aperto in una giornata caldissima di maggio, nella natura semi-selvatica del parco durante la controra, il tempo del timore panico e di Pan, compagno di Dioniso.
Dominio e sottomissione
Se il senso di un ineluttabile destino, di un dramma voluto dal fato, è netto, inequivocabile, Ezio Sinigaglia è d’altra parte abilissimo nell’instillare in modo volatile, subliminale, il dubbio che quanto accade possa essere frutto di una percezione distorta, lievemente alterata del protagonista-narratore (mi riferisco, ad esempio, al contrasto messo in risalto dal narratore fra lo stato emotivo, turbatissimo, di Jimmy e la sua voce ferma, poi a quella sorta di automatismo con cui il personaggio si ricompone, infine alla sua ultima battuta). Oppure che possa trattarsi di una sorta di rito o di esperienza mistico-amorosa che, in direzione antitetica alla Beatrice della Vita nuova, conduce l’ingegnere De Rossi nelle cavità infere del proprio inconscio, mostrandogli una parte sconosciuta, o ignorata, di sé.
Virando verso territori perturbanti, emotivamente opachi o bui (più che “noir”), dilatando abilmente la suspense, Ezio Sinigaglia crea una storia, forse un apologo (allucinato) alla Menenio Agrippa, dai diversi livelli interagenti fra loro sul controllo e la sua perdita, sul dominio e la sottomissione… e passa da una partitura iniziale, ammiccante e ironica, a un’altra, tesa, inquietante e ambigua, dalla scrittura più cruda, ma sempre curatissima e coinvolgente.
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