La frammentazione di sé in un continuo reinventarsi esistenze che non hanno mai fine, né inizio, nel tragico gioco del solipsismo artistico. “Il buon uso della distanza” di Vito Di Battista mette in scena i mille volti dell’inganno, tra un recitato pirandelliano e innesti contemporanei tinti di noir. Camei, rimandi e pastiche letterari costellano l’universo metatestuale che sfida il lettore ad una lettura più profonda
Una, nessuna, centomila le metamorfosi di Pierre Renard, scrittore esordiente per professione, protagonista del romanzo Il buon uso della distanza (395 pagine, 16,50 euro) di Vito di Battista per Gallucci editore.
Al centro della commedia narrativa, il confine evanescente tra arte e vita, tra verità e menzogna, il tutto in perfetto e perenne disequilibrio.
Si scrive per colmare una lacuna…per rimediare a una distanza, per compensare uno squilibrio naturale verso il mondo che non si lascia dire. Non si può fare altro che questo, allora: stare alla larga dalla verità, ma avvicinarsi quanto più ci è consentito.
Siamo tutti puttane
ognuno a suo modo cerca di districarsi nel complicato universo dell’esistente.
Attori di questa battaglia d’inganni, incontriamo figure disincantate che la vita ha passato al setaccio lasciando loro solo le briciole di effimere chimere.
Personaggi inafferrabili, indefiniti, vivi nello spazio delle parole, in bilico tra condanna e redenzione.
Ognuno di loro interpreta la propria parte nello spazio concesso tra un punto e l’altro, in quello che man mano si svela il memoir-confessione di Pierre.
Reduce dell’ennesimo rifiuto editoriale, Pierre vende la sua scrittura e il suo talento all’anonima Madame, deus ex machina del torbido mondo letterario che accoglierà senza rémore i mille pseudonimi che Pierre vestirà.
Noi due ci stiamo inventando a vicenda… nella migliore versione possibile che si possa essere: quella della finzione e della sublimazione estrema dei desideri.
L’offerta di Madame è allettante: scrivere e mostrare al mondo solo il proprio talento, frequentando il Gotha della critica letteraria, ma rimanendo nell’ombra, dietro i volti di fugaci figuranti. Condizione sine qua non, l’anonimato assoluto di Madame.
S’innesta così una linea secondaria nel canovaccio narrativo principale, introducendo l’elemento misterioso che colora la trama di giallo familiare.
Anello di congiunzione tra i due interlocutori è Colette, maîtresse di lungo corso, detentrice di verità e saggezza, incarnazione della prostituzione etica che la vita a volte impone.
Personaggio cinematografico, perfetta in ogni dettaglio, circondata dai vizi e dalle rinunce che l’uomo nasconde dietro la promessa dell’alba.
Parigi tra bordelli e salotti letterari
Notturna e démodé l’atmosfera parigina che assorbe i gesti e le parole delle numerose comparse che popolano queste pagine, ingabbiate nella sospensione del tempo, della verità e del disincanto.
È la Parigi di Romain Gary, prestigiatore della mistificazione, unico autore ad aver vinto due volte il Premio Goncourt e motore letterario responsabile della genesi di questo romanzo.
Dal fumoso bordello di Colette è un attimo trovarsi a sorseggiare un dignitoso aperitivo nel salotto di Anne Moreau, intellettuale di tutto rispetto, polo gravitazionale intorno a cui ruota il mondo della cultura.
È qui che Vito di Battista si diverte a dissacrare i meccanismi avariati del mondo dell’editoria, dei circoli culturali in cui si emette il verdetto: fallimento o successo, premio o discredito.
Le manovre per costruire il best seller dell’anno, per consegnare alla gloria uno scrittore o per farlo cadere in disgrazia, diventano più inquietanti nel momento in cui si tiene presente il lavoro di editor, agente letterario e traduttore di Vito di Battista.
Una matrioska narrativa
Il buon uso della distanza è un romanzo raffinato, sensuale, d’impronta filosofica, in cui tutto sembra la metafora di qualcosa che non si riesce mai ad afferrare.
Anche il titolo è un gioco semantico che lascia intuire le regole che governano una narrazione metafisica, dove lo sguardo si perde oltre l’orizzonte delle nostre maschere.
La lettura si dipana su vari piani metanarrativi, dove anche l’ultima diva dice addio in quel meraviglioso pastiche de L’Educazione sentimentale di Flaubert, che l’autore incastona come un clair de femme.
Divertissement letterari, citazioni, personaggi ricorrenti, assonanze, titoli camuffati tra le righe, il tutto innaffiato da una buona dose di gin e incoscienza, tenendo sempre la giusta distanza, da sé stessi, dal passato, dagli altri, dalla memoria… distanza che poi tanto giusta non è.
Scriviamo per dare una fine giovanotto… una fine a storie che una fine non hanno avuto la fortuna di conoscerla.
P.S: in sintonia con lo spirito giocoso del romanzo di Vito di Battista ho scavallato il dorso e disseminato la mia recensione di titoli, alcuni più nascosti di altri … buona lettura!
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