Torna a distillare una scrittura fra prosa e poesia, Erri De Luca, in “Cercatori d’acqua”, otto racconti brevi, di derivazione biblica, che non disdegnano qualche riferimento all’attualità. Fiumi, sorgenti, pozzi sono immagini ricorrenti, come le variazioni sul tema delle storie dei patriarchi, Abramo, Isacco…
Gli assetati di sacro potrebbero aver trovato un nuovo breviario, pagine in cui si racconta dei cercatori d’acqua nelle Sacre Scritture. Erri De Luca torna a pubblicare per la casa editrice Giuntina dopo Le Sante dello scandalo (ne abbiamo scritto qui) e ne approfitta per illuminare, attraverso la metafora di un elemento imprescindibile, l’acqua, e alcune storie bibliche, questioni quanto mai contemporanee. Le migrazioni, ad esempio, subito in apertura, nell’introduzione agli otto brevi racconti che compongono Cercatori d’acqua (98 pagine, 12 euro),
Israele emigrò in Egitto in formato familiare e divenne popolo numeroso, ripartendo quattro secoli dopo moltiplicato fino a un milione e mezzo.
I Faraoni sapevano distinguere tra flussi migratori e invasioni. Le invasioni vogliono occupare, i flussi migratori vogliono farsi occupare. È una differenza che oggi si finge di ignorare.
Rabdomanti
Pozzi e siccità, rabdomanti (a cominciare da Mosè, che batte il bastone sulla roccia e disseta il popolo d’Israele e le greggi) e specchi d’acqua, fiumi e oasi nel deserto. L’acqua come vita, dono, ricchezza. Sono immagini ricorrenti nei testi sacri, che Erri De Luca frequenta anche in lingua originale, pure da traduttore. Torna più volte, nelle pagine di Cercatori d’acqua l’episodio di Abramo e Isacco, col patriarca, in nome dell’obbedienza a Dio, chiamato a sacrificare il proprio figlio in olocausto. L’obbedienza, un altro tema caldo, che torna in queste pagine.
Tra cielo e terra
Acque divine, piogge simboliche e rivelatrici, ma anche acque umane, quotidiane, quelle che i patriarchi dei testi sacri cercano di procacciare, sorgenti che possano tornare utili al popolo di Israele, ai raccolti e al bestiame: oro blu. Erri De Luca ritrova la vena dei tempi migliori, la scrittura suadente, che incanta: distilla prosa e poesia, incuneandosi fra esse come lui e pochi altri, in Italia, sanno fare. Si alternano spezzoni biblici, con variazioni sul tema, spaccati personali, racconti fluidi, liquidi, riflessioni sulla lingua ebraica, sull’alfabeto, sul sacro che risiede nelle ventidue lettere. Si fa, Erri de Luca, pienamente autore, studioso e traduttore (particolarissimo traduttore, basta recuperare le sue versioni di alcuni libri biblici), in ognuno dei tre casi, da innamorato cronico dell’ebraico.
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