“Lettere a mia nonna” è il libro più intimo di Djamila Ribeiro, nera, filosofa, femminista. Tra idee e confessioni, immaginando di scrivere alla donna che l’ha cresciuta dopo la morte dei genitori, l’attivista brasiliana combatte il patriarcato che vuole relegare le donne in alcuni ruoli
Donna, nera, filosofa, con un grandissimo seguito sui social. Segni particolare: combattente, contro il razzismo, le discriminazioni sessuali, paladina del femminismo nero. Ma dietro il personaggio affascinante e di grande piglio comunicativo c’è tanta sostanza, una intellettuale a tutto tondo, che pondera le parole più incendiarie, ma colpendo sempre nel segno. Djamila Ribeiro è una delle più influenti intellettuali brasiliane e non solo, attivista e saggista, poco più che quarantenne, in patria già studiata nelle scuole, con le sue opere inserite nei programmi ministeriali. Le edizioni Capovolte hanno già pubblicato tre suoi titoli, Il luogo della parola, Piccolo manuale antirazzista e femminista e, adesso, Lettere a mia nonna (189 pagine, 15 euro). Quest’ultimo – tradotto da Alessia Di Eugenio e Nicola Biasio, che firmano la postfazione con Francesca De Rosa – è il più intimo e affascinante, dove il rito sacro delle idee che Djamila Ribeiro snocciola si sposa con una confessione personale, con odori, sapori, colori che arrivano dritti dall’infanzia. La lotta alle ingiustizie del mondo, non fa fatica ad ammetterlo l’autrice, ha la sua origine nella complicità e nel rapporto speciale con una donna che non c’è più, nello sguardo che incrociò gli occhi di nonna Antônia «che mi hanno rimproverato quando ho sbagliato e che mi hanno insegnato l’umiltà di chiedere scusa».
Razzismo e altre emergenze sociali
A lei, a nonna Antônia, che l’ha cresciuta, dice tutto quello che ha nel cuore, tutto quello che ha sempre pensato e che poi ha iniziato, pazientemente, a spiegare al mondo, a società maschiliste e razziste, alle prese con innumerevoli emergenze sociali. Ricorda la scomparsa prematura del padre e della madre (e l’aver sognato entrambi alla fine del 2006, uno spartiacque), gli ostacoli e le conquiste personali e una certa idea di mondo, lo sguardo fisso sulle proprie idee, l’energia di un’attivista capace di lasciare il segno del dibattito pubblico, non solo nazionale.
Alcune donne pensavano fossi pazza perché non mi sentivo appagata dalla maternità e dalla vita matrimoniale. Amavo essere madre, come ho detto, ma detestavo quello che si intendeva per maternità: l’abdicazione della nostra esistenza come soggetto. Avevo abbandonato l’università quando ero rimasta incinta, in quel momento ero disoccupata e dipendevo solo da mio marito. In qualche modo sentivo che avevo tradito ciò che mio padre mi insegnava.
La possibilità di scegliere
Aggressioni, relazioni, lotte, successi e un omaggio costante alle donne della famiglia, racconta tutto questo Djamila Ribeiro. Il filo autobiografico nel dialogo con la progenitrice è fitto, ricco di significati. La lotta a favore di una cultura dell’inclusione e della partecipazione, di società più eque – senza diseguaglianze, ma con diversità da riconoscere e rispettare – sta nel suo racconto, quella di una ragazza che ha la possibilità di studiare all’università, a differenza della madre Eranì e della nonna, domestiche nelle case di bianchi benestanti. La possibilità di scegliere, ecco la svolta, nelle parole di Djamila Ribeiro, che viveva a Santos e, in quest’ultimo libro, interroga la matriarca della sua famiglia, madre di sette figli, sulle vacanze trascorse assieme e sui giochi in cortile, sul razzismo nel quartiere e sulle doti di guaritrice, della nonna, sulle sue preghiere quasi incomprensibili.
Non sognare l’amore…
Un’elegia del tempo che fu e che non ritorna, ma anche di un futuro da desiderare e da vivere al meglio. Dalle lotte e conquiste dei neri contro ogni tipo di pregiudizio, alle sfide delle donne contro ogni forma di patriarcato e maschilismo, Djamila Ribeiro – che guarda anche alla lezione letteraria, politica e umana di Toni Morrison e Alice Walker – si fa portavoce delle donne e si mette a nudo, inviando lettere immaginarie alla nonna, non teme di raccontare la fine del proprio matrimonio, dopo tredici anni: «…posso affermare felice che oggi non sogno più l’amore. Oggi, in una nuova relazione, vivo l’amore in tutte le sue possibilità, come porto e libertà». Non è un semplice libro, Lettere a mia nonna di Djamila Ribeiro, ma un’armatura e un elmo per affrontare il mondo, per non farsi impaurire, per non sottomettersi. Le donne, le lettrici, hanno un grande debito nei confronti della riflessione e dell’arte sprigionate da Djamila Ribeiro. Quello degli uomini è ancora più grande…
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