“Mille candele danzanti” di Christian Bobin è un testo difficilmente inquadrabile, ma dall’indubbio potere catartico, con una corrente magnetica che lo attraversa e ci attraversa. Parole che scrutano nell’abisso, senza perdersi mai…
Leggere è un’azione estremamente pericolosa, e non mi riferisco all’arma che la cultura può indubbiamente costituire per non soccombere passivamente a vite che sentiamo lontane. Il piano a cui mi riferisco è molto più intimo e profondo, perché la lettura, se non ci limitiamo a smangiucchiare paginette slavate sotto ombrelloni meno annoiati di noi, è sempre uno specchio che ci rimanda immagini, che non sempre ci va di guardare.
Christian Bobin, in tutti i suoi scritti, pare averci di fronte e scrutarci.
Mille candele danzanti (80 pagine 12 euro), edito da AnimaMundi, è un viaggio che facciamo, fra l’altro, accompagnati da una eccellente introduzione dello psichiatra e saggista Eugenio Borgna (di cui andrò presto a cercare La solitudine dell’anima).
La vita tutta nuda
In queste quattro parole è racchiusa la linfa che scorre sotterranea fra queste pagine, scritte con un afflato lirico così delicato e al tempo stesso potente, che colpiscono come un fulmine ma abbracciano come una carezza, quando oramai non l’attendevi più.
Come sottolinea Borgna, Mille candele danzanti è un testo di complessa definizione, difficilmente inquadrabile in un genere letterario dai confini ben delineati, ed è indubbiamente questa la sua forza, il suo potere catartico, la corrente magnetica che lo attraversa e ci attraversa.
In quest’opera di Christian Bobin poesia e prosa si intrecciano, volteggiando in una danza di colori autunnali, fra nostalgia, tenerezza e speranza di futuro.
La nudità delle parole di Bobin non ferisce, non giudica, ma scruta nell’abisso senza perdersi mai, perché le candele danzanti del titolo illuminano la Verità perché essa trionfi, ma dolcemente, teneramente, lontanissima dalla gelida crudezza di certi affreschi della realtà, certamente fedeli ma privi di quel desiderio di Bellezza che pervade la sua produzione letteraria.
La voce dei dimenticati
Una giovane donna che cade sul pavimento
E la sua anima che le cade accanto.
La giovane donna si risveglia all’ospedale …
L’anima non c’è più.
C’è tutto, tranne l’anima
Mille candele danzanti, e mille che restano ferme, negli angoli più bui, dove non guarda nessuno, dimenticate e stanche. Sono le anime di chi soffre ma non ha voce, di chi parla ma nessuno lo ascolta, di chi nasconde per non dover mentire, di chi stringe a sé tutto quello che può ma che piange da solo.
Bobin afferra la mano di chi girovaga confuso e spaurito e gli offre, non una consolazione tiepida, ma una lente per guardare la realtà, che resta atroce e buia, da un’angolazione nuova, dove il dolore si riveste di poesia e le ferite guariscono con la melodia del rumore delle foglie che cadono, ma non muoiono.
La balena e la tempesta
Uno dei passaggi più toccanti e riusciti del libro sono le pagine dedicate alla figura di Giona, che si incarnerà (parola quanto mai adatta) molti secoli dopo in un piccolo burattino che ha smarrito la strada.
Giona e il burattino ad un certo punto non vorrebbero più ritornare a promesse di vita mai mantenute, perché nel ventre della balena il buio copre tutto, il bene ma anche il male. Dio sembra spazientirsi, ma Bobin non riesce a credere in un Amore che non salvi, persino un pavido testardo, o un pezzo di legno malconcio.
Le Mille candele danzanti altro non sono che mille fragorose risate, che spalancano la bocca della balena e restituiscono al mondo la Speranza.
Ride Giona, ride moltissimo, inchinandosi a Dio, che da Tempesta si è fatto Bambino.
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