Le urgenze dei giorni, le pieghe dolorose, le interazioni e le conseguenze. Una magnifica prova, quella di Paolo Zardi, che torna a pubblicare racconti con la raccolta “La meccanica dei corpi”, spiazzando e riuscendo a essere ironico, indagando la contemporaneità, fra solitudine e competitività…
In un’Italia che ancora resiste al fascino della narrativa breve, ci sono alcuni impavidi scrittori che invece ci credono fermamente. Non saranno troppo permalosi e orgogliosi nel recinto dell’audace realtà di Neo edizioni, che ha svezzato Paolo Zardi quando ancora questo nome e questo cognome non dicevano niente ai lettori più appassionati della nostra penisola. Lui, che con Neo, ha pubblicato quello che ancora oggi è forse il suo titolo più noto, il romanzo XXI secolo (ne abbiamo scritto qui), ha cercato fortuna con altre case editrici e poi è tornato a casa. Anche scrivendo racconti, perché è nelle short stories che la maestria di Paolo Zardi si accende e lascia scie luminose. Gli imprevisti nelle esistenze di alcuni individui, le eccezioni legate al corpo e alla corporeità, anche alle necessità oltre che ai desideri, sono centrali nel più recente titolo di Paolo Zardi, La meccanica dei corpi (170 pagine, 15 euro), di cui abbiamo anticipato qui l’estratto di uno dei racconti, il quinto e ultimo (Il signor Bovary), probabilmente l’esito più alto, la degna chiosa della raccolta.
Nessun vocabolo o virgola fuori posto
In questa sua nuova prova il padovano Paolo Zardi indaga la contemporaneità, la solitudine, i momenti di svolta della vita, la competitività, il desiderio non privo di rischi. Riuscendo a spiazzare e a essere ironico come pochi. Meglio se in provincia (tranne che nella prima storia, L’era della dignità borghese), o comunque in luoghi marginali, quotidiani. Le parabole dei suoi personaggi – i loro movimenti, le scintille primordiali della mente, le loro interazioni, le conseguenze sulle vite altrui, anche solo a causa di un’inezia – sono delineate in modo rapido eppure esaustivo, in cinque storie che sono altrettanti universi compiuti, reali, umanissimi, in cui non c’è un vocabolo fuori posto, né tantomeno una virgola. Siamo dinanzi a una scrittura disinvolta, ma matura e precisa.
L’inopinato e l’incomprensibile
L’ambizione sembra essere quella di raccontare davvero la vita, tra decisioni e lacerazioni, dove non c’è nulla che non finisca per avere un significato. Dalle dinamiche dell’adulterio a quelle del lavoro e della solitudine, dall’amicizia alla crisi di una coppia. Paolo Zardi scruta ogni dettaglio e chiama i protagonisti dei suoi racconti a reagire dinanzi alle urgenze dei giorni, a fare i conti con l’inopinato e con l’imponderabile, magari causando conseguenze imprevedibili, incomprensibili. C’è una giornalista alle prese con i guai del lockdown (L’era della dignità borghese) che s’inventa uno scoop per non essere licenziata, senza badare troppo a quel che potrebbe causare, senza comprendere regole e limiti della professione e del vivere civile; c’è Armando, anziano e sovrappeso, con la morte all’orizzonte (Fantasmi), che si carica di colpe per ciò che non ha compreso o per quel che non è riuscito a fare, per la solitudine con cui fa i conti. Nelle storie che orchestra Paolo Zardi poi qualcosa deflagra e, queste pieghe esplosive e dolorose, che si fa maestro e coglie nel segno. Una prova magnifica, un autore da non trascurare, da recuperare e conoscer meglio grazie ai suoi tanti libri.
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