A vent’anni dalla prima edizione “L’ultimo treno da Kiev” di Stefania Nardini torna con una piccola novità, un breve epilogo legato all’attualità dell’invasione russa. Una donna ucraina, in fuga dalla patria dopo la caduta della cortina di ferro, approda in Italia e ha la fortuna di lavorare come domestica in un contesto rispettoso e dignitoso. Qualcosa però si rompe….
Torna relativamente presto in libreria Stefania Nardini, giornalista di lungo corso e narratrice. Lo fa in realtà con la riproposizione di un suo vecchio volume, pubblicato più di vent’anni fa, con un altro titolo, per un’intuizione del compianto Tullio Pironti. La storia di una clandestina ucraina in Italia, in fuga dal post-comunismo, all’epoca, non passò inosservata. Oggi quella storia sembra raccontare uno degli antefatti della tragedia che si consuma sul fronte ucraino-russo, l’insensatezza di un attacco. E, proprio in ossequio all’attualità, la nuova edizione de L’ultimo treno da Kiev (155 pagine, 15 euro), pubblicato da Les Flaneurs (uno dei rari volumi in italiano tradotto in lingua ucraina, inizialmente circolato clandestinamente), contiene cinque righe finali in più, che seguono fino a oggi Irina Kosenko, l’eroina raccontata da Stefania Nardini, modellata, plasmata su una sua reale collaboratrice domestica.
Una perigliosa fuga
Per Milan Kundera «tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l’ignoto». E, in qualche modo, accade in questo romanzo, in modo inaspettato, l’avidità, la disperazione e il bisogno hanno il sopravvento su tutto il resto, anche su un equilibrio e su una serenità niente affatto disprezzabili. E il tradimento si prende la scena. Irina, già insegnante, separata dal marito, con una figlia, Oksana, che resta in patria, cerca di dare una svolta al proprio futuro, imbarcandosi in una perigliosa spedizione verso l’Italia: siamo negli anni Novanta, quando la cortina di ferro è caduta, alle spalle si lascia la città di Truskavets e un’Ucraina presa di mira da ricchi russi, il comunismo è tramontato, e il capitalismo straripa insensatamente. Lei fugge, pagando un’associazione tutt’altro che limpida: né più né meno come i migranti che si rivolgono a scafisti senza scrupoli. Come tante connazionali, spesso laureate, si ritroverà in un altro mondo rispetto a casa, destinata a svolgere lavori umili, quando non umilianti…
Sacrifici e consapevolezza
Il destino, però, le riserva altro, un posto da domestica, ma senza soprusi e fatiche, in un contesto rispettoso e attento, in Toscana, a Montepulciano. Racconta (in prima persona per tutto il romanzo) di come lavora per una coppia di giornalisti, che vorrebbero riscattarla dalla sua condizione di clandestina, soprattutto Rosa, ex giornalista (decisa a non omologarsi all’informazione italiana che stava prendendo una brutta china…) alter ego dell’autrice, Stefania Nardini, che per scrivere questo volume si recò in Ucraina, per vedere, toccare, capire. Quella che racconta ne L’ultimo treno da Kiev è una storia di sacrifici e consapevolezza, che fa a pezzi gli stereotipi più beceri sulle donne dell’est. Il finale è duro, sofferto, realistico, la scelta è tra il cuore e i soldi. Una lettura che non lascia indifferenti.
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