Protagonista della Comune parigina, detenuto a più riprese per metà della sua esistenza, il francese Auguste Blanqui ha scritto in prigione un singolare saggio cosmologico, “L’eternità viene dagli astri”, in cui ragiona sulla perenne ripetizione delle stelle, degli umani e dell’universo…
Non il vagabondo, ma il rivoluzionario delle stelle. Ha attraversato il diciannovesimo secolo, si potrebbe quasi dire per paradosso, sotto le mentite spoglie di un protagonista del socialismo francese, combattente e rivoluzionario, membro di spicco della Comune, fondatore di giornali oggi forse grande dimenticato nella sua dimensione politica e ritrovato come atipico letterato e super atipico astronomo, un poeta delle idee. È Auguste Blanqui, morto nel 1881 a 76 anni, non prima di aver collezionato in vita più di una condanna a morte, una quindicina di processi, grazie, amnistie e oltre trent’anni, a più riprese, trascorsi dietro le sbarre. Non per niente era soprannominato il Recluso.
Divagazioni di uno sguardo al cielo
Da Wilde a Gramsci, da Genet a Céline, al marchese de Sade, le carceri in più di un’occasione sono state foriere di libri formidabili. Lo stesso può dirsi di Auguste Blanqui e di un suo volume che ha visto la luce nel 1872, riproposto adesso – non per la prima volta in Italia – nella Piccola Biblioteca di Adelphi, tradotto da Raffaele Fragola e impreziosito da un saggio di Ottavio Fatica: L’eternità viene dagli astri. Ipotesi astronomica (132 pagine, 13 euro). Si tratta di uno specialissimo saggio cosmologico, scritto in una cella dopo i moti comunardi del 1870, nella solitudine di una fortezza bretone, una delle tante prigioni frequentate. Nè vita, né politica, né l’esistenza sulle barricate, né le teorie rivoluzionarie, ma divagazioni di uno sguardo rivolto al cielo e più su, se possibile, al pianeta intero: il desiderio di trovare una spiegazione a domande ineluttabili ed eterne. L’idea di fondo di questo trattatello? L’eternità delle stelle e quella nostra, degli esseri umani.
Tutto è già successo, tutto tornerà
Si confronta con l’infinito Auguste Blanqui, spazza la solitudine grazie all’immaginazione, si interroga sui corpi celesti, ragiona sull’universo e sull’idea di una sua perenne ripetizione. Giungendo ad alcune conclusioni, che l’autore stesso riassume così:
Ogni astro, qualunque esso sia, esiste dunque in numero infinito nel tempo e nello spazio, non soltanto sotto uno dei suoi aspetti, ma quale si trova in ognuno degli istanti della sua vita, dalla nascita sino alla morte. Tutti gli esseri distribuiti sulla sua superficie, grandi o piccoli, viventi o inanimati, condividono il privilegio di questa perennità.
La terra è uno di questi astri. Ogni essere umano è dunque eterno in ogni secondo della sua esistenza. Ciò che sto scrivendo in questo momento in una cella del Fort du Taureau l’ho scritto e lo scriverò per l’eternità, su di un tavolo, con una penna, degli abiti addosso, in circostanze del tutto analoghe. Questo vale per chiunque.
Tutto è già successo, tutto tornerà. Un’idea affascinante, forse più estrema di quella che viene subito in mente, l’«eterno ritorno» di Friedrich Nietzsche. A suo modo un tentativo di evadere, di planare al di sopra delle umane miserie del presente, di immaginare la libertà, di non considerare l’uomo centrale nell’universo.
Lettori famosi
Ottavio Fatica – traduttore, anche del recente Guerra di Celine, saggista, poeta – spiega nelle pagine finali che arricchiscono il volume come Auguste Blanqui fu letto attentamente, oltre che da Nietzsche, anche da Jorge Luis Borges, felicemente sorpreso, e da Walter Benjamin, che ne critica antimodernismo e fatalismo. In queste pagine non bisogna cercare telescopi, ma poesia, non si troveranno calcoli, ma idee, non c’è spazio per la lotta, ma solo per una forma di coscienza visionaria.
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