Tredici contributi più un contro-contributo per festeggiare, a modo nostro, la Giornata mondiale dei diritti umani, a 75 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani proclamata dall’Onu. Il catalogo dei libri che vi consigliamo è questo
“La ladra di parole” di Abi Darè (Nord), traduzione di Elisa Banfi
Amata da una famiglia unita e agiata, ho potuto studiare, sono sempre stata libera di scegliere e, anche se non sempre ho scelto bene, niente mi è mai stato imposto con la forza. Adunni, invece, è venuta al mondo in un minuscolo paesino della Nigeria, dove l’acqua e la luce non arrivano nelle abitazioni, in cui qualsiasi bene di conforto è un lusso, dove non sempre c’è da mangiare per tutti. Patriarcato e poligamia costringono le donne, poco più che bambine, a sposare, senza amore, uomini più grandi e a convincersi che sia il meglio a cui possano aspirare. Ha solo 14 anni quando, morta la madre, il padre, alcolizzato e incapace di occuparsi di lei e dei suoi fratelli, la vende come terza moglie ad un uomo vecchio e depravato. Ma lei vuole studiare e diventare una maestra, non le basta avere una voce come tutte le altre, lei vuole “una voce che la sentono forte”. Coraggiosa, incosciente, incapace di stare zitta, andrà incontro al suo destino, fatto di soprusi e di violenza, di solidarietà e di speranza. Scritto, e tradotto, magistralmente in broken english, quell’inglese parlato dai non-inglesi, sgrammaticato, pieno di buffi neologismi e mischiato al dialetto, il racconto di Adunni, commuove, diverte e indigna ma, soprattutto, mi ricorda, e ce n’è sempre bisogno, che è solo per caso, per destino, per un imperscrutabile disegno e non certo per merito, se non sono nata al posto di quella bambina. (Paola Ardizzone, qui tutti i suoi articoli)
Il contro-contributo: DFW
Ha scritto tantissimo, con arguzia e ironia, con caustico sarcasmo e dolcezza allo stesso tempo, con una raffinata complessità e forza di penetrazione ineguagliabili. Ha saputo essere leggero e profondo allo stesso tempo, oltre che estremamente divertente. Le note a piè di pagina costituiscono romanzi nei romanzi, racconti nei racconti, saggi nel saggio, ha scritto di tutto su tutto iniziando molti anni fa con cose per riviste, giornali e aziende che gli commissionavano articoli e commenti sui più svariati argomenti. In quel modo si è fatto notare ed era già in nuce il nucleo fondante delle sue grandi, corpose e irresistibili opere. Dai reportage di viaggio da leggere in un pomeriggio libero che lo hanno rivelato al cosiddetto mondo letterario, ha affrontato il romanzo mettendovi dentro tutto sé stesso e ciò che ci circonda lasciando ai posteri schegge di intelligenza e lampi di genio quale lui stesso è stato e per la cui condanna ha dovuto perire andandosene troppo presto, costretto come un uomo che si butta da un grattacielo in fiamme. Quello che ha scritto David Foster Wallace (1962-2008) con c’entra molto coi diritti umani (forse), ma è quanto di più bello, profondo, divertente e umano mi sia capitato di leggere. (Simone Bachechi, qui tutti i suoi articoli)
“In mare non esistono taxi” di Roberto Saviano (Contrasto)
I diritti umani sono calpestati anche a parole, con slogan razzisti e falsi. In Italia perfino da figure istituzionali. C’è una testimonianza, di parole innestate su immagini di grandissimi fotografi che vuole confutare uscite fuori luogo di ministri del passato e del presente: è il volume di Roberto Saviano, In mare non esistono taxi, pubblicato da Contrasto. Contro menzogne, pregiudizi e fake news, si prova a raccontare il fenomeno migratorio nella sua devastante essenza. E non solo. Bisogna – emerge fra le conclusioni – difendere tutti i diritti di chi approda in Europa, a cominciare da quelli occupazionali. Se chiunque, se qualcuno, se i lavoratori che giungono dal sud del mondo o da zone di guerra, lavorano senza diritti, sarà il primo contagio di un virus che non risparmierà nessuno, tutti i lavoratori «sempre più vedranno erodersi le garanzie sociali acquisite in decenni di battaglie». (Arturo Bollino, qui tutti i suoi articoli)
“Palestina borderline” di Saree Makdisi (ISBN), traduzione di Francesca Novajra
Preghiera del mare di Khaled Hosseini (Sem)
Un papà e un figlio, in balìa degli eventi: sullo sfondo della delicatissima e drammatica storia di Khaled Hosseini “Preghiera del mare” (qui l’articolo) c’è lo sfondo di diritti negati e osteggiati sul mare di una storia drammatica ma intrecciata a parole di profondissima umanità. Un libro illustrato (Dan Williams è colui che dà forme e colori al volumi) che racconta il tema universale – e oggi quanto mai presente – della migrazione, con tutto il suo dramma umano e la sua disperazione. Parole per tornare ad ascoltare la realtà che ci circonda e grida dagli schermi di tv e smartphone. (Alessandra Chiappori, qui tutti i suoi articoli)
“Amianto. Una storia operaia” di Alberto Prunetti (Feltrinelli)
“Identità assassine. La violenza e il bisogno di appartenenza” di Amin Maalouf (La Nave di Teseo), traduzione di Fabrizio Ascari
Un libro che non è, a detta dello stesso autore, un saggio, né un trattato scientifico, bensì un insieme ragionato di considerazioni su un tema che non smette di interrogare, quello dell’identità. Amin Maalouf parte dai paradossi dell’identità a tutti i costi e da sé, dalla sua storia di scrittore libanese di origini arabe e cristiane, naturalizzato francese. Con schiettezza l’autore ammette che l’umanità è ben lontana dal risolvere i problemi identitari alla base degli innumerevoli conflitti in molte parti del mondo e che l’attualità conferma crudelmente che niente fa presagire una volontà di risoluzione e men che meno, di pacificazione. Forse l’errore risiede nel considerare l’identità come un monolite e non invece come un complesso processo di accumulazione che rende ogni essere umano unico e non riconducibile a nessuno stereotipo. L’autore elenca le inquietudini del nostro tempo, da cui ci si può salvare se si riuscirà a «domare la pantera identitaria prima che ci divori» e spera vivamente, in uno slancio probabilmente utopistico, che il suo libro, fra qualche decennio, possa essere ritenuto concettualmente superato perché non sarà più necessario preoccuparsi della «bestia identitaria. (Maria Grazia La Malfa, qui tutti i suoi articoli)
“Diario russo” di Anna Politkovskaja (Adelphi), traduzione di Claudia Zonghetti
Censure, atrocità, compromessi, scandali, un pensiero unico dominante, quello di Putin in Russia, quello che, prima di essere assassinata, ha fatto in tempo a descrivere e ad analizzare Anna Politkovskaja; da rileggere tutte le sue opere, ma probabilmente quella più urgente è Diario russo (qui l’articolo), (Giovanni Leti, qui tutti i suoi articoi)
“Furore” di John Steinbeck (Bompiani), traduzione di Sergio Claudio Perroni
Le ingiustizie degli ultimi, dei profughi, dei braccianti, di chi ogni giorno lotta per sopravvivere, crepitano nelle pagine dell’opera di John Steinbeck. “Furore”, che racconta della Grande Depressione e di una famiglia che attraversa l’America, invano, alla ricerca di un futuro migliore, di un eden che alla fine non c’è, sembra parlare oggi a noi. Un romanzo che vale più di cento saggi di giustizia sociale, che si nutre di solidarietà umana, di ribellione alle ingiustizie. Cruciale la traduzione di Perroni dopo che per decenni i lettori hanno avuto a disposizione una lettura parziale, figlia dei tagli della censura fascista. (Salvatore Lo Iacono, qui tutti i suoi articoli)
“Ragazza” di Edna O’Brien (Einaudi), traduzione di Giovanna Granato
«Primo ero ragazza, adesso non più. Puzzo. Il sangue si asciugava incrostandomi il corpo intero, e la gonna iro a brandelli. Le viscere, un pantano. Trasportata a tutta velocità nella foresta che vedevo, quella prima notte atroce, quando hanno rapito me e le mie amiche dalla scuola. L’improvviso pam-pam degli spari nel nostro dormitorio e gli uomini, a viso coperto, la furia negli occhi, si spacciano per militari venuti a proteggerci, perché in città c’è un’insurrezione. Noi abbiamo paura ma ci crediamo». In Nigeria, una notte, mentre si trova nel dormitorio del collegio, Maryam viene rapita assieme ad alcune compagne da un gruppo di fondamentalisti islamici di Boko Haram. Lei e le sue compagne diventeranno schiave e concubine. Miracolosamente, Maryam riesce a fuggire portando con sé la figlia nata dalla violenza. Affronta la foresta, ma la paura più grande è che la famiglia, ora che non è più una «ragazza», rifiuti di accoglierla. Un libro indispensabile. (Teresa Lussone, qui tutti i suoi articoli)
“Non capivo” di Romano Bosich (Luglio)
Sebbene Romano allora fosse un bambino e spesso “non capiva,” ricostruisce con struggente amarezza, il dramma della privazione dei diritti umani che gli Italiani d’Istria allora subirono. (Francesca Luzzio, qui tutti i suoi articoli)
“Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi (Adelphi), traduzione di Roberto Serrai
Leggere e respirare attraverso le storie che cesellano la nostra memoria cognitiva è un atto che diventa etico, sociale, pietra di volta sulla quale costruire una nuova architettura morale.
Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi ha il potere di ampliare il significato del semplice atto della lettura, ricordandoci che «solo attraverso la letteratura ci si può mettere nei panni di qualcun altro, comprenderlo negli aspetti più reconditi e contraddittorii del suo carattere ed evitare così di emettere condanne troppo severe».
Azar Nafisi ha insegnato in vari atenei di Teheran fino al 1997, quando è stata costretta a emigrare negli USA. Nel 1995, circondata dalla repressione, in una città dominata dal silenzio della paura, dove le donne, obbligate ad indossare il Chador e a camminare per le strade a testa bassa, dove la musica, i film, i libri passano sotto il vaglio di un cieco censore, decide di parlare di letteratura senza i limiti del regime islamico a sette studentesse, il tutto nel segreto del suo salotto di casa.
Lolita, Invito a una decapitazione, Il grande Gatsby, Daisy Miller e Orgoglio e Pregiudizio; sono le opere che Azar prende in considerazione e hanno una caratteristica in comune: sono tutte storie di oppressi, perseguitati, vittime di Persecutori in grado di annientare la loro identità.
La sua missione è quella di trasmettere le storie, per ritrovare le basi del nostro umanesimo, che non ha confini, né censure.
Una lettura nutriente, determinante, necessaria per capire la forza motrice dei libri e le idee rivoluzionarie che possono muovere.
“tanti, nel corso dei secoli, hanno incontrato nei libri la determinazione e la passione, e ne hanno tratto forza – in breve, hanno incontrato la capacità di accettare la vita o il desiderio di cambiarla” (Patrizia Picierro, qui tutti i suoi articoli)
“Scritti politici” di Jean-Jacques Rousseau (Utet), traduzione di Paolo Alatri
Celebrare, ogni 10 dicembre, la promulgazione da parte dell’ONU della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, per me, vuole sempre dire tornare con la memoria alle sue antesignane – le Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino promulgate nel corso della Rivoluzione francese – e alle loro radici teoriche – la teoria giusnaturalista e quella contrattualista, il pensiero e le opere dei Philosophes, e, tra questi, in particolare, il pensiero e gli scritti di Jean-Jacques Rousseau, teorico dell’emancipazione dell’uomo dal giogo dell’assolutismo attraverso la realizzazione della democrazia moderna, allora concepita dal filosofo ginevrino in forma diretta, ovverosia possibile solo negli Stati di piccole dimensioni, quali le coeve città-stato svizzere. In un volume prezioso dalla copertina rossa, edito da Utet, acquistato negli anni dei miei studi universitari, sono raccolti tutti gli scritti politici di Rousseau, tra i quali, il Secondo discorso. Sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini e Il contratto sociale sono i più importanti in materia di diritti umani. Il volume, anzi il volumone, con la copertina rossa ha accompagnato gli anni più intensi e, forse, più belli dei miei studi universitari, quelli legati alla mia docente di laurea, Mirella Larizza, straordinaria donna e studiosa, purtroppo scomparsa prematuramente nell’agosto del ‘98, e al potente incipit del Contratto sociale: L’uomo è nato libero, ma è ovunque in catene. Dopo averlo letto, niente per me è stato più come prima. (Flavia Todisco, qui tutti i suoi articoli)
“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead (Sur), traduzione di Martina Testa
Razzismo e schiavitù, e dunque assenza di totali di diritti umani, non sono semplicemente in agguato, ma sono ancora in mezzo a noi. Ce lo racconta questa affascinante storia, come una metafora. Un libro, La ferrovia sotterranea (qui l’articolo), e un’eroina che sono già nella storia della letteratura, sebbene siano apparsi sono qualche anno fa. Non c’è molto da aggiungere, c’è solo da leggere il capolavoro di Colson Whitehead. (Micol Treves, qui tutti i suoi articoli)
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