Mozza il fiato e trafigge i pensieri “Cenere in bocca”, romanzo di Brenda Navarro, che indaga migrazione e razzismo, incomunicabilità e lutto, femminismo e illusoria salvezza del sesso. Niente effetti speciali o sentimentalismo, ma uno sguardo spietato e onesto, nella storia di una donna costretta a lasciare il Messico per l’Europa…
Il rumore degli uomini che cadono, si potrebbe dire, parafrasando un fantastico romanzo di qualche anno fa di Juan Gabriel Vazquez. È quello che si sente quando si apre e quando si chiude, cioè quando si inizia e quando si smette la lettura del secondo romanzo di Brenda Navarro che approda in Italia. Il primo, Case vuote (ne abbiamo scritto qui) era deflagrante. E il secondo non è da meno. L’autrice messicana scrive pugni che mozzano il fiato, sprigiona un rumore assordante che resta nella mente, trafigge i pensieri. Incalza, con le sue frasi.
Un salto e uno schianto
Mi manca mio fratello. Ma tuo fratello vive a Madrid. Mi manca mio fratello, quello del Messico, quello che era piccolo e simpatico. Ma se è a Madrid! Già, ma a me manca quello che era in Messico, non quello di Madrid, perché a Madrid è diventato un adolescente e un inetto, testardo e sarcastico e arrogante e volgare.
Si chiama Diego il fratello della protagonista che parla in prima persona nel romanzo di Brenda Navarro, Cenere in bocca (185 pagine, 17,90 euro), pubblicato da La Nuova Frontiera, nella traduzione di Gina Maneri. E apprendiamo della sua morte nelle prime righe del romanzo, del suo suicidio, un salto nel vuoto e uno schianto al suolo, figli di un buco dentro, di un tormento incurabile.
L’Europa razzista e noiosa
Con Cenere in bocca Brenda Navarro ci racconta, andando avanti e indietro nel tempo, della lontananza dalla propria terra e del ritorno a essa (la protagonista tornerà in Messico con le ceneri del fratello, da portare ai nonni), un terribile ritorno, alla fine di un viaggio fisico ed emotivo, al cui centro c’è la Spagna di una personale diaspora, tra Madrid e Barcellona, un’Europa «noiosa e vecchia e sola». E razzista, che respinge gli stranieri, i diversi, che li spinge ai margini, ad accudire e lavare anziani, a consegnare cibo a domicilio, che li costringe a lavorare sempre in nero.
Mi mancava quel senso di comunità di saperci dei fottuti disgraziati, incapaci, superbi, appassionati. Eh sì, appassionati, perché per sopravvivere avevamo bisogno di molta passione, la passione che danno la fame, la stanchezza, il non poterne più. Era la passione a farci alzare alle sei del mattino, e odiare le due ore nel traffico, e il baccano sull’autobus, e l’odore del vicino di posto, e il malumore di quell’altro, la pancia di tutti che brontolava allo stesso modo.
Non è semplicemente il racconto di una distanza, di una lontananza, quello snocciolato da Brenda Navarro. Gli affetti e la malinconia sono accessori, effetti collaterali inevitabili. L’autrice messicana ci racconta la sofferenza della migrazione, l’iper capitalismo che schiaccia i lavoratori più deboli, femminismo e incomunicabilità, l’illusoria salvezza del sesso.
Dall’inizio alla fine
Si legge del tunnel dell’emarginazione e della discriminazione in queste pagine, di individui privati di dignità e diritti. Se all’evaporare dell’identità si aggiungono i conflitti con la figura materna e l’ingombrante presenza di un lutto (per un fratello perduto a cui la sorella, la protagonista e voce narrante, aveva fatto da madre…), si fa in fretta a capire che la letteratura di Brenda Navarro non si nutre di effetti speciali o sentimentalismi o, peggio, stereotipi. È brutale ed onesta, spietata. Come lo srardicamento della protagonista e le diverse forme di violenza con cui si confronta, prima in Messico, poi in Spagna. Il cerchio si chiude con la spiegazione del titolo del romanzo, con un gesto estremo ma confortante, con la stessa frase dell’incipit nell’explicit.
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