Nessuna concessione alle frasi fatte e alle descrizioni trucide ne “Il torto. Diciassette gradini verso l’inferno”, volume di Carlo Piano che reinterpreta con stile e sentimento gli atti del processo al feroce killer Donato Bilancia
Genova. Dall’ottobre 1997 al maggio 1998. Donato Walter Bilancia (Potenza, 10 luglio 1951 – casa circondariale di Padova, 17 dicembre 2020) è stato un serial killer italiano, 17 omicidi a fine anni Novanta in Liguria e nel basso Piemonte, con conseguente condanna a 13 ergastoli. Il severo fallocrate padre Rocco era impiegato come ragioniere di secondo livello all’Inam; la soggiogata “terrona” madre, Anna Mazzaturo, faceva la casalinga; il fratello Michele era più grande di diciotto mesi. Nel 1954 la famiglia si era spostata ad Asti, i figli soffrivano d’asma; poi il padre venne destinato altrove, nel 1956 definitivamente in Liguria. Fra litigi furiosi e silenzi spaventosi in casa, Walter è taciturno e introverso, soffre di enuresi (pipì a letto), prende schiaffi. Va bene a scuola, ma inizia presto a rubare e a giocare d’azzardo. Lavoricchia. Nel 1987 si suicida il fratello con in braccio il nipote di quattro anni, nel 1990 finisce in coma vittima di un incidente d’auto. La prima volta a 46 anni, nella notte del 16 ottobre 1997, uccide il biscazziere truffatore Giorgio Centenaro, omicidio archiviato come attacco di cuore. Otto giorni dopo il presunto complice del primo, con la moglie, neosposi. Altri tre giorni dopo due coniugi orefici per rapina. E via così. Il 9 marzo 1998 con la pistola fa fuori la prima prostituta, un’albanese con la quale si era appartato. Poi altre tre nello stesso mese, una casualmente sopravvissuta, insieme ad altri lungo la strada e con la stessa arma, lui girando sempre in Mercedes nera: un cambiavalute, due metronotte. Ormai gli hanno fatto l’identikit, cambia modalità d’azione e tipologia di obiettivo e compie altri quattro omicidi ad aprile. Viene arrestato a maggio, confessa tutto e di più, trascorre in isolamento la maggior parte dei decenni da detenuto, muore causa Covid-19. Durante e dopo è stato narrato da molti giornalisti ed esperti, in vario modo. Ora con tragica efficacia.
Come un rito liberatorio
Il bravo giornalista e scrittore Carlo Piano (Genova, 1965) ne Il torto. Diciassette gradini verso l’inferno (271 pagine, 18,50 eurol), per e/o, reinterpreta con stile e sentimento gli atti processuali del processo al feroce assassino Donato Bilancia: le dichiarazioni rese dall’imputato in vari momenti e forme, testimonianze e relazioni, novanta mila pagine di verbali, 65 faldoni di documenti e 80 fascicoli di intercettazione telefoniche. Si era occupato del “mostro” da giovane capocronista in corso d’opera; lo aveva intervistato con un sotterfugio appena catturato; lo aveva reincontrato a Chiavari nel parlatorio prima del processo; si è rivolto alla figlia dell’avvocato difensore d’ufficio per verificare tutte le carte dopo la morte; è tornato sui luoghi dei delitti e ha incontrato chi lo ha conosciuto e chi non avrebbe mai voluto conoscerlo, piangendo con loro. Ha riversato tutto infine, come rito liberatorio, in questo ottimo toccante testo fra true crime e fiction crime dalla parte del raggelante torto (da cui il titolo).
Gironi infernali
Il testo è diviso in tre parti: i primi omicidi nel girone della “vendetta”, gli omicidi delle prostitute nel girone del “cattivo sangue”, l’evoluzione terminale del serial killer nel girone della “matta bestialità”. Un capitolo per ogni delitto (raramente plurimo) e per ognuno dei gradini verso l’inferno (da cui il sottotitolo); in fondo a ogni parte criminale, un capitolo con le impressioni dell’autore rispetto alla “bolgia della memoria”, fino alla cattura e all’epilogo (narrato anche nel prologo). Nessuna concessione alle frasi fatte e alle descrizioni trucide, talora i fatti, i deliri e i ricordi spiegano abbastanza. L’opera si è aggiudicata il Premio dei lettori al Noir in festival 2023, il romanzo più votato sul sito (sezione Scerbanenco), la cui 33° edizione è prevista dall’1 al 7 dicembre a Milano.
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