Una sfida all’idea del profano, il tentativo di riuscire a ritrovare la luce come umanità, attraverso il lessico ricercato di Domenico Conoscenti e le fotografie di Angelo Di Garbo. “Intimo paradiso”, con testo bilingue, tradotto in francese, è la loro raccolta foto-poetica
Non è certo la forma, e quindi la novità, il pregio di questo libro che mi è stato suggerito. Le raccolte foto-poetiche sono un esperimento che da tempo è stato provato, e se ben eseguite, come in questo caso, rappresentano quasi un genere a sé, fusion tra due arti preesistenti. D’altro canto Angelo Di Garbo, il fotografo che ha collaborato al progetto di questo libro (co-autore direi), ha già alle spalle diverse esperienze e pubblicazioni in questa direzione, come si evince nella sua biografia in fondo al volume. Io purtroppo non ho le competenze per esprimermi sulla qualità o le tipologie di inquadrature e sfumature scelte dal Di Garbo; posso solo farmi ammaliare dai suoi scatti e farmi introdurre dai mondi predisposti dal poeta Domenico Conoscenti, che ha trasformato quegli scatti in porte d’ingresso iridescenti. Scusate la rima, ma questo aggettivo desueto si presta a descrivere, seppure a mo’ di etichetta, il linguaggio dell’autore. Poche volte infatti sono rimasto così affascinato dalla varietà linguistica di un verso. Le strofe – costruite in questo lavoro a partire dalle foto – denotano una grande ricercatezza delle parole: strofe brevi e quindi versi molto densi, sia sul piano contenutistico che formale. Non c’è un metro dominante, ma il verso sciolto è usato dal Conoscenti come un distillato di mondi tanto immaginifici quanto decodificatori della realtà: ad ogni pagina mi sembra di risvoltare di nuovo lo stesso calzino e continuamente scoprirne un lato nuovo, mai visto prima.
Crepe da cui passa la luce
Passiamo a descrivere l’opera. Il testo è agile, una settantina di pagine (30 euro, edizioni del Laboratorio Poetico di Palermo), che alternano prima il testo poetico e poi la foto con cui forma una cosa sola. Questa “inversione” rispetto alla genesi dell’opera impedisce al lettore di vedere nelle immagini ciò che evocano direttamente alla propria vista, cosicché la funzione evocativa viene svolta attraverso la mediazione della parola poetica. Ci pensa la poesia del Conoscenti a spalancare nuovi mondi: egli incardina l’episteme della vista (reticolato retinico) ma ci consegna l’immagine che ne ha tratto sotto forma di simbolo, veicolando sia il contenuto di significato che intendeva darci, sia il giusto spazio all’immaginario del fruitore, grazie al forbito linguaggio dell’autore che in pratica potenzia la carica evocativa degli scatti fotografici. La parola del Conoscenti è aperta nel senso che attribuiva Heidegger alla poesia; è una parola piene di crepe da cui passa la luce (semicit. da Cohen), come un mondo di tenebre appena squarciato, a cui tutte le foto del Di Garbo sembrano rimandare nella lettura del poeta. Nasce così un “intimo paradiso”: una sfida all’idea del Profano, dato che nasce dall’osservazione che i segni incisi sugli sfondi dorati delle tavole dei dipinti medievali, talvolta anche delle icone e di altri arredi dell’arte sacra, assomigliano o rimandano ai pizzi e merletti degli indumenti intimi femminili, se visti in controluce. Ho di fatto banalizzato ciò che Domenico Conoscenti spiega brevemente nella sua introduzione, in cui egli parla di questo esperimento al fine di produrre una reazione estatica in grado evidenziare “la relazione esistente tra la sacralità dello spirito e quella del corpo”. A questo si deve aggiungere una considerazione. Un tempo – scrive il poeta a pagina 27 – “tarsie di vetri piombati/o punzonature sull’orlo del manto”; oggi invece, una mutandina o un reggicalze possono rappresentare “le sfilacciature del sacro/ per il superuomo di massa”. Non manca quindi, come vedremo, anche una lettura critica per una società svilente e svilita.
Misticismo nervoso e trattenuto
La foto-silloge guidata dal poeta Domenico Conoscenti presenta una parte testuale di grande interesse, costituita da un insieme concatenato di brevi strofe che possono leggersi come un poemetto unitario ma anche come brevi poesie a sé stanti, che passano davanti all’immaginario del lettore come stelle cadenti. Il linguaggio trasuda una sorta di misticismo nervoso e trattenuto ma che incalza e crea una tensione latente:
l’unico altrove possibile
restava l’ipnotico errare
il ritmo crescente
che in sé annullava l’assenza
e ci proiettava di colpo
verso un punto di fuga
frenetico oltre il pensiero
Il testo si presenta bilingue, e ogni pagina presenta la singola strofa tradotta in francese, visto che l’autore in passato ha ottenuto importanti riconoscimenti anche all’estero. Ho fatto la prova di leggere le strofe una dietro l’altra, e vien fuori un monologo in cui speranza e disillusione fanno a gara a chi emerge di più. L’uomo, nella sua debolezza, è semplicemente una trama di sinapsi che “si allasca si deforma lascia vuoti/che si spandono di colpo/ come plastica al calore della fiamma”. Definizione antropologica perfetta per l’essere umano post novecentesco, moderno e fragile, artificioso, non più grado di gestire il fuoco della vita, o del Sacro. Incapaci di mettere in atto le energie spirituali più autentiche, sperperiamo il nostro esserCi nel mondo, aumentandone la caoticità (cfr. pagina 33). Questo concetto fisico-filosofico viene ripreso anche nell’ultimo distico del libro, con cui il Conoscenti amaramente si commiata: “il sonno della ragione genera minchioni/ la veglia dei minchioni genera entropia” (p.61). Ma cosa affiora, cosa si intravvede in controluce da questo intimo paradiso? La fantasia poetica dell’autore è potente, coadiuvata dalle foto del Di Garbo; e così il lettore avrà a che fare con frotte di corvi in cieli di piombo, mostruose divinità con teste di mosca, alcioni piumati, dorsi di cetacei e squali danzanti che emergono dai deserti. E ancora orti e giardini esotici, con alberi e frutti più disparati: altrimenti, che paradeiza/paradeisos sarebbe? Non manca un Adamo alternativo, creato in parallelo “per correzione o ad experimentum/ nel medesimo Eden/ e da lì ugualmente scacciato” (p.43).
La grande possibilità dell’amore
Insomma, questo libretto dello scrittore palermitano Domenico Conoscenti è un piccolo scrigno, probabilmente solo un distillato delle sue qualità letterarie. Come dicevo sin dall’inizio, la ricchezza e la profondità del linguaggio, che mai appare pomposo o autoreferenziale, affascina per il suo sapiente utilizzo. Egli nella sua nota biografica si presenta come romanziere (ne abbiamo scritto qui), ma qui lo apprezzo e lo suggerisco come fine artigiano di versi taglienti e finemente ornati. Vi propongo in chiusura la strofa che più mi è piaciuta (p.51), ove l’autore ci mostra un uso stilisticamente perfetto ma non piatto dell’endecasillabo e al contempo ben riassume la poetica della raccolta Intimo paradiso:
l’organza trasparente delle Grazie
a guisa di invisibile amuleto
riusciva per incanto ad ammansire
gli intendi predatori degli umani.
Il velo che oggi l’inguine ti adombra
lo accende di mistero
di un desiderio opaco e primigenio
che innesca fiamme ctonie senza luce.
L’auspicio è quello – forse – di riuscire a ritrovare la luce come umanità (attualmente tutti gli indizi vanno in direzione contraria…), magari passando attraverso la grande possibilità dell’amore umano, e attraverso quello accedere al Mistero che ci circonda, che ci pervade, e che ignoriamo.
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