Denso, corposo, documentatissimo è il saggio di Anna Ferrando, “Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994)”. Il racconto di un mondo alternativo che prima non c’era, la costruzione di una riconoscibile cifra culturale, di una comunità di lettori, di un catalogo immaginato come un unico libro, con titoli irripetibili ed eterodossi. Una storia affascinante, dal sodalizio Bazlen-Foà fino all’affermazione di Roberto Calasso
Che fantastica storia è la Adelphi!!! Un “romanzo” cerebrale, ma pieno di colpi di scena. Una storia densa e corposa, di ribellione, di lavoro certosino, di sfide impensabili, molte delle quali vinte, una breve storia di lunghi tradimenti, prendendo in prestito un titolo di Tullio Avoledo, se si pensa che certi cardini delle origini sono lentamente venuti meno, magari con l’uscita di scena di qualche protagonista. Ed è una storia in corso, una fetta della quale è stata analizzata e raccontata con maestria da Anna Ferrando – professoressa a contratto dell’università di Pavia, che ha raccolto testimonianze e ha scandagliato archivi e carteggi privati – in un volume splendido, edito da Carocci: Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994) (448 pagine, 39 euro). Chissà che i quasi trent’anni mancanti non diventino prossimamente oggetto di un… sequel.
“Fratelli”, collaboratori e capitali
Adelphi, è noto, nacque nel 1962, per iniziativa di due “fratelli” – da qui il nome della casa editrice, ma ne furono vagliati tanti, a cominciare da Chimera – Bobi Bazlen e Luciano Foà: eclettico e irregolare lettore, impareggiabile collaboratore di vari editori, il primo (che portò alla ribalta, fra gli altri, anche Italo Svevo), segretario generale, colonna portante di Einaudi, comunista fino all’invasione dell’Ungheria, e transfuga dallo Struzzo, il secondo. L’opera e le idee dei due fondatori, che si tramuteranno in un’operazione mitica del nostro Novecento, vanno però rintracciate già alla fine degli anni Trenta, in pieno fascismo, prima e dopo le leggi razziali. Sarà grazie all’incontro con Alberto Zevi e Roberto Olivetti, finanziatori illuminati, che il progetto troverà capitali e prenderà forma, segnando indelebilmente l’arte di fare libri, grazie a uno stuolo di collaboratori di prim’ordine (Colorni, Pontiggia, Solmi, Colli, solo per citarne alcuni; oltre ad altri, decisivi da esterni, l’agente Erich Linder, lo psicanalista Ernst Bernhard, il regista Federico Fellini). Non una semplice operazione di divulgazione, ma la costruzione di una riconoscibile cifra culturale, di una comunità di lettori più che avvertiti e di un catalogo immaginato come un unico libro, un solo grande corpo, fatto di episodi disturbanti, irripetibili ed eterodossi, alternativi al materialismo e al progressismo incarnato da buona parte dell’industria culturale italiana, con Einaudi come capofila.
Inattualità, irrazionalismo e fantastico
Il documentatissimo volume di Anna Ferrando – che però ha dovuto fare a meno proprio dell’aiuto della casa editrice Adelphi – regala aneddoti, sfata miti duri a morire (il primo, non fu semplicemente la pubblicazione dell’opera omnia di Nietzsche l’origine del divorzio tra Foà e il “principe” Einaudi) e, senza pregiudizi o semplificazioni, analizza le caratteristiche di un progetto, in cui misticismo, irrazionalismo, esoterismo, fantastico, e conservatorismo ebbero gradualmente il sopravvento. Crebbe così, alla lunga, la fama di un editore non di massa, né di sinistra. Merito di autori fuori dal coro, anticonformisti, inattuali, pescati spesso fra l’Oriente e la Mitteleuropa.
Tempeste, “fratture” e rinascite
È servito tempo alla casa editrice Adelphi per affermarsi e per assestarsi economicamente. Ha attraversato tempeste da cui si è salvata in modo rocambolesco, aggrappandosi per decenni a Roberto Calasso (qui un suo profilo), anima di Adelphi, dopo i fondatori. L’anima elitaria delle origini si è un po’ annacquata (alla fine degli anni Settanta la distribuzione affidata a Fabbri permise una diffusione capillare dei volumi Adelphi), scelta premiata con alcuni longseller e bestseller, e Calasso ha in qualche modo operato una delle “fratture” (la prima fu la scomparsa prematura di Bazlen) da cui la casa editrice è di volta in volta ripartita, tra fedeltà al progetto iniziale e innovazione. Celata dalle nebbie della memoria corta la vicenda che di fatto costrinse l’ebreo Foà a farsi da parte negli anni Novanta, ovvero la pubblicazione – contro il parere unanime di chi era chiamato a esprimere la propria opinione in Adelphi – di un libretto antisemita di Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza. Il mantra delle origini («fare solo i libri che ci piacciono») forse non è stato preso alla lettera e gli ultimi decenni di Adelphi, quelli non raccontati da Anna Ferrando, sono stati caratterizzati da un solo uomo al comando, Roberto Calasso.
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